martedì 18 dicembre 2012

La prima tessera

 
Una settimana fa è stato dato il Premio europeo per la vita a Chiara Corbella.
Spesso nella vita c'è un prima e un dopo; non è sempre così, ma a volte succede. Ci sono dei piccoli o grandi eventi che funzionano come la prima tessera del domino: cadendo innescano la reazione a catena lungamente preparata impilando con certosina pazienza tutte le altre. La storia di Chiara Corbella è una di questi.
Don Fabio ha sempre detto che siamo chiamati a grandi cose. Per noi intendeva tutti quelli che passavano dalle sue parti a vario titolo, e in senso lato la nostra generazione nel suo complesso. Non è che non ci credessi, però in fondo in fondo una parte di ma la considerava un'esagerazione, tenevo in sospeso quella considerazione come si fa di qualcosa di cui si è convinti fino ad un certo punto. Poi è arrivata Chiara: la sua vicenda ha invaso la vita della nostra parrocchia anche se io, non conoscendola direttamente, l'ho seguita da lontano e con un certo timore reverenziale, perché a guardarla direttamente la luce ti abbaglia.
Però dal giorno del suo funerale prendo le parole di Fabio più alla lettera, perché Chiara mi ha fatto rompere gli indugi. Per compierle, quelle grandi cose, non è necessario combattere chissà quale battaglia, vivere in chissà quale epoca o scrivere opere memorabili, ma basta entrare nel proprio ruolo: Chiara ha fatto al madre, fino in fondo, semplicemente.
E' proprio vero, lo leggo e rileggo scritto e vissuto in mille modi diversi (come l'affresco di San Clemente in testa al post): il Cristianesimo non è vivere cose straordinarie, ma rendere straordinarie le cose ordinarie

venerdì 30 novembre 2012

Essere padri oggi


 (Pubblichiamo questo bellissimo editoriale di Paolo Molaioni, dal sito di OL3, né indignati né rassegnati)

La nostra società si sta trasformando sempre di più in una società “senza padre”. La conseguenza di questa trasformazione sta provocando una buona parte dei problemi che i giovani stanno attraversando, in piena crisi economica, come risultato della progressiva ma costante delegittimazione dell’istituzione della famiglia e del ruolo della figura paterna al suo interno.
Gli stessi studenti che manifestano in piazza in modo violento, i quali strumentalizzando una sacrosanta istanza, come quella di protestare per i tagli alla scuola e all’istruzione, trovano l’occasione per distruggere, in modo organizzato e sistematico, i simboli della vita civile, delle istituzioni e del potere economico, ci stanno rivolgendo indirettamente un grido di aiuto.
Sarebbe falso rispondere a questa richiesta di aiuto dando tutta la colpa alla crisi economica. La verità è che ai nostri giovani abbiamo tolto la speranza perché abbiamo demolito la figura del padre e il ruolo centrale della paternità nel cammino della crescita. La crisi economica dell’immediato dopoguerra infatti, non ha portato gli stessi frutti di nichilismo e di disperazione, in una condizione di ignoranza e di povertà molto maggiore di quella attuale.
Una “società senza padre” ha infatti, come effetto diretto sui figli, la rimozione del ruolo paterno, ruolo che determina, in primo luogo, l’instaurarsi di quelle condizioni che ci insegnano a sopportare le sconfitte e continuare a sperare, anche quando le situazioni sembrano avverse; ne conseguono l’incapacità di accettare ogni forma di norma o vincolo, la mancanza di autostima, forme eccessive di aggressività o di iperattività, l’incapacità di staccarsi dal vincolo genitoriale e cominciare una vita autonoma.

martedì 27 novembre 2012

Dal lavoro femminile al lavoro familiare

 
Recentemente ho letto su benecomune.net (che trovo sempre arguto) un articolo sul lavoro femminile e sulla difficoltà del conciliare lavoro e famiglia. Le conclusioni dell'autore (Fabio Macioce) sono, a mio parere, molto interessanti: non si può pensare che conciliare famiglia e lavoro sia solo un problema femminile (anche se ci sono delle fasi in cui è innegabile che il ruolo materno sia più coinvolto), si dovrebbe perciò parlare di lavoro familiare. La frase chiave dell'articolo è: "[...]la domanda allora è: se questi orari e modelli di vita e lavoro sono incompatibili con la famiglia, e con un armonico sviluppo della sfera degli affetti, perché gli uomini li dovrebbero fare? Perché, in altri termini, si dà per scontato che l'uomo, al contrario della donna, possa rinunciare senza sacrificio al tempo con i figli, al tempo con la propria compagna, alla vita privata?"

Per me questa è sempre una questione aperta. Da impiegato nel settore privato sono tenuto a lavorare 40 ore a settimana e sono veramente tante. Considerando che una giornata di lavoro è di 8 ore e c'è un'ora di pausa pranzo, io trascorro 9 ore fuori casa più un'ora per andare e tornare (e sono un privilegiato, perché a Roma metterci 30 minuti per andare al lavoro è molto poco). E' vero, come contraltare ho molti permessi che mi permettono di guadagnare in flessibilità, ma ad oggi il guadagno è minimo, si potrebbe fare molto di più. Chiariamoci, io amo il mio lavoro e lo ritengo parte essenziale della mia vita, guai a considerarlo in sé e per sé un ostacolo alla famiglia, ma va trovato il giusto equilibrio, che sia ben chiaro che si lavora per vivere e non viceversa.

Il problema si allarga se si analizza la cultura di lavoro che si sta diffondendo, almeno nel settore privato. Sempre più settori della mia azienda (ma ho motivo di pensare che non sia un'eccezione) puntano su persone disposte a trasferte, uso esteso di straordinari, lavoro 6 giorni su 7. Ricordo che un manager della mia azienda, mentre ero ancora in formazione, disse: "a voi viene chiesto di restare fino alle 18:00, poi quando sarete assunti anche dopo le 18:00". Ovviamente, se viene premiato essenzialmente chi lavora di più, logica vuole che saranno promossi dirigenti quei lavoratori che sposano di più questa linea, ovvero siano sempre più pronti a mettere al primo posto il lavoro rispetto alla famiglia. Se le persone che organizzano il lavoro non capiscono le esigenze di chi ha una famiglia (perchè non ce l'hanno, l'hanno sfasciata a forza di non esserci o hanno delle mogli eroine) è un problema per tutti quelli che stanno sotto di loro. La crisi non fa che peggiorare le cose, perché in qualche modo l'emergenza giustifica qualsiasi cosa. Sento infatti circolare discorsi che non mi piacciono per niente, tipo "dobbiamo abituarci a lavorare di più", "la crisi è frutto di privilegi che non possiamo più sostenere", "in America si lavora di più" o cose simili...
Auspico che a crisi finita si apra una stagione di ripensamento dei tempi del lavoro, che si cominci a discutere seriamente di telelavoro, tetto di 36 ore per tutti i contratti, estensione della flessibilità di orario, incentivi ai nidi aziendali, congedo parentale, legare parte dello stipendio a risultati concordati e non alle ore lavorate e cose simili.

Mi sembra che questo sia uno dei temi chiave del nostro tempo e, per questo, invito chiunque passi di qui, se lo ritiene opportuno, a postare proprie esperienze, siti ed articoli rilevanti, opinioni.

Buon lavoro a tutti!


lunedì 19 novembre 2012

Ognuno al posto suo


Oggi fare il padre è difficile, ma ancora più difficile è essere maschi. E si, diciamocelo...noi maschietti (soprattutto quelli con prole) siamo rappresentati dai mass-media come una generazione di "micioni"!
Prima c'era il padre padrone, quella figura di padre che viveva (e avolte ancora vive) di un' obiettiva ingiustizia nel rapporto tra uomo e donna.
Adesso invece c'è il problema opposto: oggi come oggi chiunque abbia un autorità è antipatico per natura. A prescindere. Questo però è un assurdo poiché una  vita senza autorità è disordine!
Dov’è il problema? Il problema è che pare che sia sbagliato rispondere alla "chiamata" maschile...Lo devi fare ma senza esagerare perché altrimenti ricadi nel vecchio schema. E quindi? E quindi credo sia molto importante sottolineare quali siano i ruoli della madre e del padre, oggi, spesso, troppo confusi.
Ci sono delle peculiarità dell'uomo e della donna che sono meravigliose. Padre e madre con le proprie caratteristiche e con la propria natura hanno delle "funzioni" che sono  specularmente complementari. Padre (nell’antica semantica della parola patèr in greco) vuol dire recinto...Il padre quindi è il confine, colui che ti dice no, che ti protegge attraverso i suoi no, ed è colui che ti dice chi sei. Se non hai nessuno che ti dice di no, tu non sai chi sei!!! Se ti dico come è fatta l’Italia, tu disegni i confini, cioè dove finisce. Il confine (cioè il limite) ti identifica cioè ti da un identità. La natura intima del ministero maschile è quindi l’oggettività, la responsabilità,  la custodia e la protezione (mica robetta!)
Le mamme invece hanno nella loro natura intima il dono dell'accoglienza alla vita (non a caso sono loro che portano in grembo il figlio per nove mesi!).  Queste due caratteristiche hanno delle differenze sostanziali che non possono essere confuse. Ma qual'è quindi il problema dei ruoli? Se la madre è quel rapporto viscerale, quella meraviglia da cui imparare la tenerezza e l’accoglienza, non può essere la legge (il no, il limite...) che viene dalla madre perché altrimenti i figli avranno la visceralità confusa con l'oggettività, la legge confusa con la tenerezza. E così se un padre è un mammo, un micione, un cretinotto non esisterà più un punto di riferimento ed ecco che tutto diventa relativo. Ci "tocca" quindi riscoprire quella che dovrebbe essere la nostra natura più intima ma questo ci può far paura perché vuol dire avere delle responsabilità.
E' chiaro che i due ruoli possono (e in alcuni casi necessariamente devono) essere interscambiabili, ma c’è una supremazia naturale, bella, sana e santa che non va mai persa di vista!


venerdì 16 novembre 2012

Scudi umani



Aspetti un figlio e cominci a dirlo in giro. Quello che spesso accade è che ti piove addosso una fitta serie di racconti dettagliatissimi e a tinte apocalittiche su tutto quello a cui stai andando incontro: notti insonni, occhiaie perenni, ore giorni mesi passati a rincorrere il capriccioso infante per non farlo morire di fame, tua moglie più sfruttata di una mucca da latte e via così. Se poi non è il primo figlio, il ritornello assume delle piccole varianti: "due bambini piccoli per casa? Sarà tremendo", "Ora Samuele è tranquillo? Quando nasce il fratellino diventerà intrattabile". Per non parlare di quando lo dici ad alcuni parenti: il rumore da registro di cassa che faranno le loro testoline, unito al sorriso di circostanza, starà ad indicare che pensano "Oddio.... ora siete poveri: vi toccherà contendere le elemosine con il polacco davanti alla chiesa, ma chi ve lo ha fatto fare?".

Intermezzo vagamente teologico. Il Nemico (anzi chiamiamolo Berlicche in omaggio a C.S. Lewis) direbbe don Fabio, si comporta come l'assalitore di una città fortificata: lancia dardi infuocati da fuori le mura del tuo cuore. Tu stai lì, serafico e pacioso a pregustarti l'arrivo del pargolo, quando un pensiero negativo (il dardo infuocato) ti si insinua in testa (magari dando credito ad uno dei racconti di cui sopra). Se non sei lesto il fuoco si accende, ha il sopravvento sul resto e ti lascia l'amarezza tipica di quando dai corda ai pensieri neri. 
Contro questi attacchi, diceva qualcuno (San Giovanni Crisostomo? San Paolo? Manco le basi...), bisognerebbe essere come "opliti", ovvero guerrieri armati di lancia e scudo. Parentesi ludica: chi non ha mai giocato ad Age of Empires non sa cosa voglia dire attaccare con frotte di arcieri armati di tutto punto e vederli cadere come pere di fronte a questi pupazzetti caracollanti dotati di scudo e lancia, gli opliti appunto.
Cari amici, tutto questo per dirvi che vi devo delle scuse: dovevo difendere il mio buonumore dagli "amorevoli" racconti di cui sopra e ho giocato sporco... vi ho vilmente usato come scudi di fronte ai dardi di Berlicche. Ho usato le vostre storie, l'atmosfera felice che si respira nelle vostre case piene di bimbi, l'epidemia di pance che ha colto Santa Francesca Romana, Walter e Marta che dicono "Tre figli sono meglio di due, si sta una favola", Luca e Ester che non sanno pensare la loro famiglia senza l'ultima arrivata, e tanto altro... Senza il vostro esempio avremmo probabilmente fatto le stesse scelte, ma la vostra presenza ci ha dato lo slancio, la serenità nel trovare la conferma di non essere del tutto fuori di testa ma che c'è, da qualche parte nel mondo e neanche chissà dove, una generazione che non rinuncia a fare scelte che solo una trentina di anni fa erano ordinarie (essere aperti alla vita, sposarsi prima di essere diventato amministratore delegato della FIAT...)

Ora, per sdebitarmi, ho deciso di rompere gli indugi e non limitarmi a "parare" ma ad assestare qualche colpo di lancia, almeno per quel poco che ho capito nella mia breve carriera di padre. Anzi, comincio ora:

(freccia)= "Non dormirai più "
(parata e risposta)= "Vero, sono 17 mesi che mi alzo almeno 2 volte a notte... ma avete idea di cosa si prova a tenere un nanetto che ti si spalma su una spalla in totale abbandono? Vale la pena alzarsi... ho tutta la vita per dormire!!!"

(freccia)= "Fare il genitore è il mestiere più difficile del mondo. Lo vedi quanti ragazzi debosciati ci sono in giro?"
(parata e risposta)= Certamente, tutte le cose che rendono bella la vita sono difficili (tipo vedere la Roma vincere lo scudetto, vent'anni di sofferenza e per poco non ce lo sfilano). Anzi, il gusto delle cose è spesso proporzionale alla difficoltà (una cosa è Roma-Catania 7-0, un'altra è Roma-Juventus 4-0, di cui ricordo ogni istante, ogni minuto, ogni memorabile passaggio). Io faccio il genitore meglio che posso, e poi come direbbe Gibran  "i miei figli non sono miei". La mia madrina un giorno mi ha detto: la mattina mi alzo e penso alle 1000 cose che devo fare per i miei figli, ai 1000 errori che potrei commettere e mi viene l'ansia. Poi penso: "Signore, li hai voluti pure tu questi bambini, quindi mi darai una mano" e l'ansia si placa.

(freccia)= "Figli piccoli, problemi piccoli. Figli grandi, problemi grandi!"
(parata e risposta)= Figli piccoli grazie piccole, figli grandi grazie grandi. I figli sono come il vino: più crescono e più aumentano le grazie. Mesi fa godevo a giocare sul tappeto con Samuele, ora (di più) a vederlo tirare la palla gridando "tòòò" (tradotto: goool), domani chissà, ma già mi viene l'acquolina in bocca.

Un vecchio detto semitico dice che "Dio ci chiedrà ragione dei beni non goduti". Godiamoci i figli, ogni istante, ogni scatto di crescita, ogni conquista, non facciamoci scippare queste gioie da preoccupazioni da "piccoli giocatori". Perché la gioia di avere un figlio non ha prezzo, per tutto il resto c'è Mastercard (o Berlicche, la differenza è sottile).

lunedì 12 novembre 2012

Siamo lievito o farina?



Qualche giorno fa mi sono imbattuto in questo commento al Vangelo del giorno ad opera del sempre valido San Giovanni Crisostomo:


"Il Signore presenta poi l'immagine del lievito... Come il lievito diffonde la sua forza in tutta la pasta, così la forza del Vangelo trasformerà il mondo intero grazie al ministero di miei apostoli... Non ditemi: 'Che possiamo fare noi, dodici miserabili peccatori, di fronte al mondo intero?' E' proprio l'enorme differenza tra causa ed effetto, la vittoria di un pugno di uomini a fronte di una moltitudine che dimostrerà lo splendore della vostra potenza. Non è forse immergendo il lievito nella pasta, nascondendovelo, secondo la parola del Vangelo, che esso trasforma tutta la massa?  Così anche voi, mescolandovi alla massa dei popoli li penetrerete del vostro spirito e trionferete sugli avversari. Il lievito, pur scomparendo nella massa, non perde la sua forza; anzi, cambia la natura di tutta la massa. Nello stesso modo la vostra predicazione cambierà tutti i popoli.  Così, siate pieni di fiducia”... 

San Giovanni Crisostomo (c. 345-407) 
Omelie sul Vangelo di Matteo, 46, 2

Il buon Crisostomo l'aveva vista lunga (non è che ti fanno santo per caso). Del resto forse viveva in tempi simili a questi: l'impero stava per passare a miglior vita (alleluia) e doveva regnare quel clima crepuscolare tipico di chi avverte che il mondo sta per cambiare ma non si capisce come e in che direzione, e per questo gira a vuoto, si illude di vivere in un eterno presente rinunciando a guardare al domani perché non lo vede. Questo per quanto riguarda i pagani. I cristiani dovevano sentirsi come nella pubblicità "ti piace vincere facile" ma dalla parte sbagliata, nella squadra di undici giocatori contro orde di pagani che continuavano ad uscire dagli spogliatoi (va detto che l'arbitro era dalla loro parte, però!).
A tutti piacerebbe godere direttamente del pane senza passare dalla fatica del farlo, godersi l'alba dopo la notte, la quiete dopo la tempesta e vai così con tutte le analogia naturalistiche del caso. E invece ci tocca essere la centro della tempesta, in una congiuntura di crisi economica, culturale, educativa, morale in cui ci si sente spesso (almeno io mi ci sento) come chi pose la domanda al Crisostomo: "ma io che posso fare, di fronte al mondo intero?". Posso fare il lievito, piccolo ma essenziale, prima di tutto tirando su una famiglia e dei figli con l'aiuto di Dio, seminare nella società cellule sane da cui ripartire. Poi magari già che ci sto posso cercare di lasciare un segno nel mio lavoro (quale che sia) nel senso del bene comune. Se proprio c'ho preso gusto potrei spingermi più in là ed evitare che, durante la riunione di condominio, il mio vicino lanci una sedia contro l'amministratore, opppure offrire il caffè al ragazzo ghanese che chiede l'elemosina sotto casa o cose simili. Non se ne accorge (quasi) nessuno, il mondo continuerà a girare placido attorno a se stesso e alla sua stella, un po' come mettere o meno il lievito nel pane, un gesto da nulla... però intanto se ti scordi il lievito poi la pagnotta la puoi usare solo come fermacarte o arma contundente allo stadio (se te la passano come merenda). 
Nel mio eterno riflettere sul tema "Signore, qual è il mio posto nel mondo?" c'è un punto di svolta, piccolo ma essenziale. Qualche tempo fa, a cena dai miei padrini, la conversazione stava virando sul tema "i mali del Belpaese" e stava prendendo la tipica piega "Questo paese non ha futuro!Cosa sarà dei nostri figli" e via così. Ad un tratto Paolo, il mio padrino, replicò con una cosa delle sue, semplici ma straordinariamente efficaci: "Chi lo ha detto che siamo chiamati a raccogliere... E se fossimo la generazione che deve seminare?".
Da quel giorno ho cercato di concentrarmi sulla semina e non sul raccolto, e quest'immagine del lievito mi dà una grande forza. Buona lievitazione a tutti.



Un'altra sentinella del mattino


Mio fratello Michele l'altra sera mi ha parlato di questa ragazza, Susanna Bo, autrice di un blog e di un libro in cui racconta la sua storia molto particolare.
Devo procurarmi il libro, che dicono essere una testimonianza molto forte. E' un'altra isola di bellezza nella rete, mi sembra bello condividerla con chi passa di qua.



giovedì 25 ottobre 2012

Bisogna essere duri senza perdere la tenerezza



Per anni ho tenuto un poster con questa frase (di Ernesto "Che" Guevara) nella mia camera di adolescente e l'ho sempre trovata molto bella.
Tuttora, come padre, lo considero non un ossimoro romantico ma un prezioso consiglio, una sorta di "strada stretta": essere autorevole ma non autoritario, saper dire No senza essere rigido. Facendo sempre riferimento al mio quadro preferito, i "primi passi di Van Gogh", questa frase si riassume nella posizione del padre. E' in ginocchio, si mette al livello del figlioletto, e con le braccia aperte pronte ad accoglierlo (una posa di grande tenerezza). Ma non si sta precipitando da lui, anzi, lo invoglia a camminare; tra i due genitori è lui a poter accettare l'idea di causare la caduta del figlio, fosse per la madre lo terrebbe sempre tra le sue braccia confortevoli. In questo è duro, non rinuncia al suo ruolo.
Si parla molto di crisi della virilità e non si può non concordare con Costanza Miriano, Roberta Vinerba e tutte le voci (ormai non più isolate) che puntano il dito contro una cultura che attacca frontalmente il padre come autorità riducendolo ad una seconda madre, un "mammo" svuotato del suo ruolo. Io stesso lavoro quotidianamente per estirpare la gramigna di questa cultura in cui sono cresciuto (lo testimonia anche il soggetto del poster!) e che ho cominciato a rinnegare solo da poco.
 Tuttavia credo che in questa difesa della virilità e del padre si corra il rischio di buttare il bambino con l'acqua sporca, di farsi prendere dalla mano della restaurazione e riproporre modelli di padri "vecchio stile" in modo nostalgico e rigido. Leggo i libri di Costanza Miriano e li trovo pungenti e spesso puntuali, ma a volte paradossali: queste descrizioni di uomini che non sanno cosa sia un'ecografia, che non conoscono l'età dei figli, che ignorano qualsiasi aspetto del menage familiare e sono i "generali della famiglia", come se fare i piatti o aiutare la moglie coincida automaticamente con una perdita di autorità. Mi sembra eccessivo.
Io credo che la storia non sia passata invano e che come generazione siamo chiamati a fare una sintesi tra la sbornia post '68 del vietato vietare e dell'attacco frontale all'autorità e questo vento di restaurazione che quasi ammicca ad un modello patriarcale, una sintesi che non sia un banale compromesso.