venerdì 25 ottobre 2013

Perle di saggezza...felicità e divertimento




Sarà che mi sto facendo crescere la barba, ma sento che alla tenera età di 36 anni sto diventando maturo! Se mi guardo indietro mi viene da ridere: avventure infinite con gli amici, ma che dico amici, fratelli con cui ho condiviso tutto: nottate svegli a guidare per andare all’oktoberfest su un pullmino carico di porchetta e birra, giornate intere a pedalare mezzi brilli in giro per la Corsica, 40 ore senza mangiare (per risparmiare) per farci un giorno in più di interrail, in giro per Roma in 2 sul SI a festeggiare lo scudetto, nottate intere a dormire all’aperto divorati dalle zanzare, falò sulla spiaggia in 50 con bagno e fagiolata di mezzanotte, 7 sere su 7 in giro per locali al centro di Roma, 2 giorni di pullman (Roma Tiburtina - Atene!) per farci la nostra vacanza in Grecia tutti insieme dal più ricco al più scannato, TUTTI, nessuno escluso!...potrei passare ore a ridere e a pensare a quanto mi sono divertito! Eppure non c’era sera in cui, mettendomi a letto, non pensavo a quanto avrei voluto condividere la mia gioia con una persona... Finalmente a 28 anni l’ho trovata! Lo sentivo, ma non ne ero del tutto consapevole: la mia vita stava cambiando totalmente! I primi 2 anni con Marta ci siamo divertiti da morire: tutto quello che avevo fatto con gli amici lo potevo fare finalmente anche con la donna di cui mi ero innamorato! Avevo tutto! Non potevo desiderare altro! E così viaggi, serate con gli amici, cene a coppie, serate romantiche, serate a sorpresa...si, ancora mi divertivo, ma iniziavo a conoscere la Felicità!

giovedì 26 settembre 2013

Momenti di (non) trascurabile felicità



Una volta Don Fabio disse che bisognerebbe imparare a vivere da straniero. Come i turisti che, uscendo dalla metro al Colosseo, rimangono stupiti di fronte al nostro caro vecchio anfiteatro Flavio mentre io supero un po' infastidito tutta questa gente imbambolata con il naso all'insù perché devo stare entro 5 minuti dall'altra parte di Roma. Avere la capacità di stupirsi delle cose di tutti i giorni, di quelle cose che inevitabilmente quando entrano nel quotidiano tendiamo a dare per scontate, diventano routine.
Da lunedì accompagno Samuele all'asilo e cerco di godermi questa novità fino in fondo. La sveglia, la colazione insieme, il risveglio degli altri due Doni della mia vita, i riti di vestizione, le prime chiacchierate insieme contando i negozi chiusi e quelli aperti tra le vie del Prenestino che inizia a carburare, le volate in passeggino tra i banchi del mercato di Villa Gordiani. La giornata cambia volto, perdo un sacco di tempo e incontro molto più traffico, ma ne vale assolutamente la pena.
Alla fine, sarà una banalità, è questo il bello di avere dei figli. Come diceva Neri Marcoré imitando Capezzone, "la giornata te s'apre come 'na cozza", ti si riempie di tanti piccoli cambiamenti da scoprire giorno per giorno, sempre diversi. Oggi è l'asilo, ieri era imparare a camminare, domani sarà la scuola. E tu sei lì ad osservarli e viverli assieme a loro in questo ruolo privilegiato, stancante e impegnativo quanto di pare (come tutte le cose belle), ma oggettivamente bellissimo.

ps: la foto è tratta dal film "Kramer contro Kramer"... ho sempre trovato bellissima la scena del tost alla francese e, in generale, il rapporto tra Ted e Billy.  

mercoledì 28 agosto 2013

Quando spunta l'anima di un bambino



(di Giacomo Poretti)

Appena nacque nostro figlio, venne a trovarci in ospedale un carissimo amico, mio e di mia moglie, un vecchio sacerdote che qualche anno prima ci aveva sposati: padre Bruno. Non seppe resistere alla tentazione, e come tutti gli anziani che si trovano davanti a un neonato, cominciò a sorridergli e a scherzare con la voce, prima in falsetto, poi con un timbro baritonale, infine, imitando una papera, cercò di attirare l’attenzione di quell’esserino che aveva solo qualche ora di vita. Tentò anche di improvvisare il balletto dell’orso Baloo, ma dopo un accenno di tip-tap deve essersi detto che per un anziano sacerdote di 82 anni, che solitamente impiegava la sua voce per tenere le omelie, per condurre cineforum, moderare conferenze e dirigere un centro culturale (quella era la sua molteplice attività), forse il tip-tap in una stanza di ospedale era un poco eccessivo. Ci guardò, guardò nostro figlio, poi disse: «Bene, avete fatto un corpo, ora dovrete farne un’anima!». Salutandoci sorrise e uscì dalla stanza. Guardandolo andare via mi sembrava che ballasse il tip-tap e che nemmeno Gene Kelly avesse la sua leggerezza.

Che cosa voleva dire «farne un’anima»? Io e mia moglie ci scambiammo uno sguardo interrogativo. I nove meravigliosi mesi di laboriosa gravidanza, e tutte quelle ore faticose del parto, l’avevano sfinita: umanamente non le si poteva chiedere nessuno sforzo in più in quel momento, anche perché quei 3 kg e 750 gr di esserino ai nostri occhi erano bellissimi e, benché le dimensioni prefigurassero un avvenire da brevilineo, eravamo convinti che non mancassero di nulla. Mi turbava l’idea dell’anima, mi ripromisi di dare un’occhiata su Wikipedia per saperne di più; in quel momento entrò il medico per accertarsi delle condizioni di mamma e figlio, e mentre annotava qualche dato sulla cartella clinica gli chiesi dopo quanti giorni si sarebbe manifestata l’anima, se prima o dopo i denti da latte, e se ce ne saremmo accorti da qualche prodromo tipo febbre o colichette. Lui prima mi fece sedere, mi auscultò il polso, mi obbligò a inghiottire una pastiglia e infine disse: «Deve essere stata un’esperienza un po’ scioccante per lei assistere al parto, chissà da quante ore non riposa, e poi tenere fra le braccia il proprio figlio! Lo mandiamo a casa a dormire, questo papà?».

lunedì 12 agosto 2013

Semplicissima felicità

(di Alessandro D'Avenia)

Nell’atrio della mia scuola alla fine dell’anno è apparso un albero, con il tronco e i rami di compensato e le foglie di carta multicolore. In cima all’albero è scritto: «Felicità è…». In ogni foglia è contenuta la risposta di un bambino della scuola materna.

Mi sono fermato a leggere una per una quelle foglie, quasi fosse il responso nell’antro della Sibilla cumana. E ho scoperto che la felicità per i bambini non solo è semplicissima, ma è soltanto relazionale. Tutte le foglie sono dedicate ad altri: familiari e amici. Nessuno di quei bimbi è felice da solo. Le foglie sono, per la maggior parte, dedicate ai genitori, ai padri in particolare: felicità è «quando papà mi gonfia un palloncino e giochiamo insieme», «quando papà mi fa il solletico». Felicità è: padri che giocano con i figli.

Mi sono reso conto che la mia felicità non era all’altezza di quella di quei bambini. La mia felicità è molto più complicata, assomiglia a un contenitore pieno di oggetti nuovi, di luoghi da vedere e di eventi futuri. È tutta coniugata al futuro e all’assente. Invece la felicità dei bambini non ha tempo e non ha spazio, anzi, meglio, ha il presente come unico tempo e la presenza come unico spazio. È relazionale, non individuale. Quanto tempo la cultura in cui sono immersi questi bambini ci metterà a cambiare il loro modo così chiaro e univoco di essere felici? C’è un antidoto per proteggere quella felicità così raggiungibile, così a portata di mano, rispetto alla felicità dettata dal consumismo?

giovedì 18 luglio 2013

Che straordinario spavento la vita!




Amatissimo figlio,

    la prima volta che ti abbiamo visto io e la mamma, è stato sullo schermo di un’ecografia. Io stavo di fianco al lettino dove lei era sdraiata e le accarezzavo un piede, poi sei comparso tu: un fagiolino di sette millimetri che correva all’impazzata! Il medico, a cui dobbiamo parecchio se tu sei qua, ha detto che eri quasi tutto cuore e che andavi a 160 battiti al minuto.
    Ti ho immaginato già ragazzo che correvi a perdifiato, e che ti sdraiavi nell’erba a riposare e a guardare le stelle. Quante volte l’ho fatto, io, e tutte le volte ho provato la stessa pienezza e lo stesso stupore. Pienezza, perché la vita l’ho sentita soprattutto con il corpo, con le corse; da ragazzo non facevo altro che correre, e correre veloce. Correre è stata una delle gioie più intense che la vita mi ha donato: ho corso giocando a calcio, ho corso per giocare a nascondino, a bandiera, a tennis; correvo per non arrivare tardi in fabbrica, correvo gli 80 metri piani, e correvo spesso anche da solo: quando il nonno Albino, che tu non hai mai conosciuto, mi mandava di sera a comprare le sigarette, o quando tornavo da scuola. Insomma, quante corse meravigliose! Non mi piaceva correre piano, dovevo sempre correre veloce. E come filavo. Una volta ho provato la sensazione quasi di staccarmi dal terreno.
    Anche andare per i boschi mi faceva provare una sensazione di pienezza, o passeggiare in montagna con la mamma, o guardare la superficie del mare, i pomeriggi d’estate, le prime gemme degli alberi a primavera. La vita l’ho sentita molto intensamente nel mio corpo, a volte fin troppo intensamente, quasi da provare dolore.
    E poi lo stupore. Lo stupore di fronte allo sconvolgente mistero della vita, l’inquietudine della coscienza, il pensiero che si fa spavento quando si chiede di cosa sia fatto.
    Quante corse e quanti spaventi, carissimo figlio. Forse ho sempre dovuto correre veloce per scappare dagli spaventi.
    Poi un giorno, finalmente, nella mia vita è apparsa tua madre. Fin dal primo istante che l’ho vista ho avuto la sensazione di essere di fronte a qualche cosa di definitivo e di immenso: come un corridore che arriva a un punto di ristoro e, bevuta quell’acqua, decide di non ripartire, della gara non gli importa più nulla, il suo affannarsi è terminato.
    Sei arrivato in un anno straordinario. Intanto hai aspettato che mamma e papà compissero 90 anni in due per farti vivo, e poi hai scelto un anno eccezionale, perché l’Italia è diventata campione del mondo e l’Inter ha vinto lo scudetto (assegnato d’ufficio). È stato anche l’anno che Rossella è ritornata in cielo. Era una carissima amica, e poco prima che se ne andasse, la mamma le ha confidato il segreto, che tu stavi correndo all’impazzata dentro la sua pancia da pochissimi mesi.
    Quell’anno se ne è andato anche Ezio. Sono sicuro che sarebbe diventato un mio amico. E anche lo zio Giannino se ne è andato.
    Ma le persone non se ne vanno mai completamente: quando l’ostetrica, dopo pochi minuti che eri al mondo, ti ha mostrato a me, eri tutto lo zio Giannino; e quando mi guardi serio, sento la presenza di Ezio; e quando ridi, nell’aria si sparge l’allegria di Rossella; e quando ti schiarisci la voce, il nonno Albino è di nuovo qui con noi e con te.

    Il giorno che sei nato, l’ostetrica è uscita dalla sala parto con te avvolto in un panno azzurro. Io non sapevo cosa fare e ti guardavo come si guarda una cosa inaspettata, poi lei ha iniziato a darmi degli ordini: «Mi segua» ha detto, e ti ha portato in una saletta per lavarti. «Faccia il filmino…», ma quale filmino, pensavo. «Presto, faccia il filmino, non siamo mica in un film che posso ripetere il bagnetto…» Io me ne stavo lì e la guardavo angosciato. «Ma non ha la macchina fotografica?» Mi vergognavo a dire che l’avevo lasciata in camera e che non pensavo che si potessero fare dei filmini in quelle circostanze particolari: «L’ho lasciata sul comodino…». «Corra subito a prenderla, non può non avere il filmino di quando è nato il suo bimbo. Cristo, che imbranato… Corra!»
    Figlio mio, tu non hai un filmino di quando sei nato, hai due foto sfuocate, perché dall’emozione e dalla paura di farti prendere una bronchite non riuscivo a commutare la macchina fotografica sulla funzione «movie».

    Poi è successo che tutte le volte che mi guardi, io mi sento interpellato dai tuoi occhi. Tu mi guardi con totale disponibilità, con innocente e vorace curiosità, ma soprattutto mi sembra che il tuo sguardo, che si posa per la prima volta sulla vita, chieda di essere rassicurato: è come se tu mi chiedessi se la vita sia una cosa buona, se nasconde qualche tranello, se c’è da fidarsi di lei.
    Per adesso me la cavo con una carezza, un abbraccio, un sorriso. Ma quando potrai parlare, quando farai domande, quando mi chiederai che senso ha tutto ciò, non vorrei farmi trovare impreparato.
    Vorrei poterti tranquillizzare, perché conosco l’insidia di quelle domande, la paura e l’angoscia che possono portare.
    E allora mi preparo, mi alleno: passo in rassegna ciò che mi è capitato, nella speranza di poterti dire che sei finito dentro a un gioco meraviglioso, complicato sì, misterioso anche, ma sensato e niente affatto malevolo.
    Questo è ciò che spero, o meglio, ciò che vorrei che fosse.
    Se sia veramente così, lo scoprirà il tuo cuore.
    Che straordinario spavento la vita!

                                                                                                                              Papà


Tratto da "Alto come un vaso di geranei" - di Giacomo Poretti

giovedì 27 giugno 2013

La santità a portata di mano

Vorrei condividere con voi la bellezza respirata giovedì 13 giugno al Santuario del Divino Amore, dove si è celebrata una messa nel giorno del primo anniversario della morte di Chiara Corbella.  Il funerale di un anno fa mi toccò nell'intimo, perché sentire presente l'amore di Dio nel profondo del proprio essere ed attorno a te, in un momento così doloroso, è qualcosa che va oltre le logiche umane. Sentire che le proprie lacrime non sono provocate dalla tristezza ma dal desiderio grande di seguire il Signore, è una consolazione enorme. Quando la morte è un salto verso la vita eterna e verso un Padre buono, allora già  sembra anche a te di mettere un piede in Paradiso!
E anche la celebrazione di quest'anno è venuta a confermare quanto vissuto allora.
Sì, la santità è a portata di mano!
Alla fine della messa, Enrico (marito di Chiara), Fra' Vito (il frate che li ha seguiti sin dal fidanzamento) e altri amici e parenti di Chiara ci hanno regalato le loro esperienze.
Una cosa che mi ha colpito in modo particolare è il fatto che Chiara riteneva che il periodo più brutto della sua vita non fosse stata quello della sua malattia e neanche quello della morte dei suoi figli, ma il periodo in cui - prima del matrimonio - non capiva quale fosse la volontà di Dio nella sua vita. La crisi con Enrico, i litigi, il non sapere se tagliare completamente con lui o se invece chiamarlo. Questo l'aveva fatta soffrire più dei dolori successivi, ai nostri occhi ben più grandi. Con la conferma avuta nel matrimonio che la sua vita era con Enrico, Chiara aveva risolto il problema maggiore. Se sei nella volontà di Dio, tutto è possibile, tutto si può fare, i passi che il Signore ti chiede di fare sono su un terreno solido e non scivoloso, sono passi fatti nella certezza che ti porteranno a Lui. Così la santità per Chiara non è stata un metà raggiunta grazie a doti eccezionali che precluderebbero questa possibilità a tutti noi. No, la santità è qualcosa che Chiara ha raggiunto attraverso quelli che lei chiamava "piccoli passi possibili" (lo aveva imparato dai frati francescani).

giovedì 13 giugno 2013

Alla bellezza di un figlio non c’é progetto che resiste

Dedico questo post alla mia mogliettina...Non me ne vogliano gli altri autori di questo blog ;-)
E' una lettera di una mamma ad un altra mamma tratta da un altro bellissimo blog: 5pani 2pesci (in fondo i riferimenti precisi)

Mamme scandalo 2013


Cara Francesca,
é ormai notte, ma sono molti giorni che vorrei scriverti e non trovo mai un attimo. Siamo tornati dalle vacanze lunedì. Siamo stati benissimo. Pensa, siamo riusciti a giocare a ping pong sulla spiaggia e, addirittura, a farci un super aperitivo nonostante le tre pesti a carico. Comunque al mare c’eravamo solo noi e i tedeschi, ormai ci siamo tedeschizzati, come dici sempre tu ;-)
Ti ho pensata un sacco. Qui da noi a Friburgo é normale avere tre figli, ma mi rendo conto che a Roma siete un eccezione. In quei pochi giorni al mare mi hanno fermato per strada diverse volte commentando il numero dei figli: “Ma non mi dica che sono tutti suoi?…e ma adesso basta però perché per tirarli su non é facile!”. Addirittura al summercato (come dice Maria) hanno commentato e non ti dico la panettiera che stava per svenire sulla focaccia genovese quando oltre al passeggino con Samuelino, si avvicinano Chiara e Maria che con voce alta dicevano: “Mamma! mamma! compriamo pure la pizza! E il pesto!”. Capisco che per te a Roma non dev’essere da meno con una monella a destra, un monellino a sinistra e uno nella pancia.
Ho passato molti anni a sentirmi meno, quasi umiliata dalle battute e dagli sguardi della gente; quasi fossi in torto di qualcosa per aver scelto la gioia prima di tutto.

lunedì 10 giugno 2013

Mr. Mammo

Riportiamo un interessante articolo di Jenet Erickson dal titolo The myth of "Mr. Mom" sull'importanza dei diversi ruoli di una mamma e di un papà.


Il mito di Mr. Mammo

[...] Qualche anno fa due ricercatori hanno sostenuto in una pubblicazione  sulle scienze familiari che "il sesso dei genitori conta solo in modi che non contano» e che anche se può essere utile disporre di due “figure genitoriali”, i loro generi e la relazione con il bambino non importano più di tanto. Sembrerebbe che i padri – come le madri – siano “usa e getta” in riferimento allo sviluppo dei loro stessi figli.
Non a caso gli argomenti a favore della “genitorialità asessuata” sono spesso basate su una visione particolare di ciò che definisce l’uguaglianza di uomini e donne.
A partire da questa definizione, ciascuno dei due può fare tutto ciò che fa l’altro, e anche altrettanto bene, se ne ha l’opportunità. Quindi, padri e madri sono intercambiabili e l’uno o l’altro genere non sono di per sè necessari, ma reciprocamente sostituibili.

E’ facile vedere perchè queste affermazioni sembrino credibili. Tutti conosciamo madri che sono capofamiglia e padri che svolgono il ruolo tradizionale femminile di fornire cure ai piccoli a tempo pieno. E molte ricerche mostrano che i padri hanno sia il desiderio che la capacità di fornire protezione, nutrimento, affetto e sensibilità ai loro figli.

Ma padre e madre sono realmente la stessa cosa?

mercoledì 5 giugno 2013

A che serve la bellezza?



Ogni mattina passo davanti a questo cassonetto. Un ordinario cassonetto del prenestino, nulla di speciale, magari un po' più trasandato e sporco dei suoi colleghi di via Cherso. Il mio fastidio nel passare di fronte al malcapitato e incolpevole contenitore è crescente nel tempo e ha subito un'impennata dopo la nascita dei figli. Perché questo fastidio e, soprattutto, perché da quando ci i pargoli è peggiorato? Un giorno, mentre cercavo risposte a queste domande, mi è tornata in mente il discorso, che per me è stato folgorante, con cui Peppino Impastato ne I cento passi commentava lo scempio di Punta Raisi:



Educare alla bellezza, ci ho pensato tanto guardando quel benedetto cassonetto, che è oggettivamente brutto, e per questo mi urta il sistema nervoso. Si potrebbe obiettare che parlare di bellezza non è proprio una cosa così fondamentale: facciamo tanti discorsi sulla concretezza e invece questo sembra un concetto superfluo, filosofico, buono più per questioni accademiche che per affrontare i problemi di in un quartiere di periferia come il mio.

mercoledì 22 maggio 2013

Uscire dalla crisi? Fare figli

(curva di natalità in Italia dal 1945 ad oggi)



 Pubblichiamo un'intervista di Costanza Miriano ad Ettore Gotti Tedeschi, apparsa sul blog della Costanza nazionale il 21/05/2013, su un tema scottante: il peso della denatalità europea nell'attuale crisi economica. Buona lettura!


A Bruxelles si discute, nel Forum sulla demografia, di “Investire sul futuro demografico in Europa”. Si parla di lotta alla denatalità, e non in un oratorio parrocchiale, ma in una sede internazionale tra le più laiche e prestigiose. Finalmente le sue teorie, quelle che lei da anni va ribadendo in ogni sede possibile, stanno diventando di moda? Che succede?

Credo che a Bruxelles si difenda keynesinianamente le nascite per difendere la necessità di domanda, non tanto la vita.  Quando Papa Paolo VI  nel 1968 scrisse l’Enciclica Humanae Vitae , ad avversarlo non furono solo gli ambienti laici ,ma anche alcuni  teologi cattolici. Se ricordo bene  si rischiò una specie di “scisma” in casa cattolica sul tema della dignità della vita umana , sul tema natalità e così via.

Papa  Benedetto XVI riprende  magistralmente la Humanae Vitae e la Populorum Progressio , sempre di Paolo VI , per spiegare la crisi economica conseguente il rifiuto della vita umana da parte di una cultura sempre più nichilista, che non sa più distinguere tra fini e mezzi e lascia ai mezzi ( l’economia ) prendere autonomia morale , contraddire le leggi naturali legate alla vita umana  e produrre danni all’uomo stesso. Cara Costanza, le mie non sono teorie, sono tesi provate , riconosciute anche da un grande Pontefice , razionale ed intellettuale come Benedetto XVI.

sabato 4 maggio 2013

il mio primo post...


UAU, ce l'ho fatta: finalmente scrivo su questo fantastico blog ideato dal mio caro amico Giuliano!
Stasera sono carico e, con tutta la famiglia a dormire, ho pensato: quando mi ricapita un'occasione così?? E allora eccomi qua, vi descrivo la scena: papà medio, in mutande sul divano, a sgranocchiare pezzi di uova di pasqua nascosti gelosamente ai marmocchi perché "la cioccolata fa male!!", a loro ovviamente, non a me!!
Ma parliamo di cose serie, sennò Giuliano mi censura! ;p
Il ruolo del papà...sto al terzo strepitoso figlio e, più passa il tempo, più mi convinco che continuerò a fare casini: sono una scheggia impazzita: passo dalla saggezza zen (quando sono particolarmente in vena e riesco a mantenere la calma) al papà del primo dopoguerra con pugno sbattuto sul tavolo e voce tuonante (quella mi riesce bene!), dal papà giocherellone al papà che capisce che gli stai parlando solo dopo che per 6 volte hai gridato "papààààààààà", dal papà che dice "bimbi facciamo l'impasto per il pane tutti insieme?" al papà che dice:"BASTA! FACCIO DA SOLO, STATE SOLO SPORCANDO TUTTA CASA!!".
Eppure vi assicuro che ce la metto tutta! 

martedì 30 aprile 2013

Siamo esseri relazionali

 


 "Nessun uomo è un isola" recita l'inizio di una poesia di John Donne...E io concordo pienamente. Siamo esseri relazionali e la comunicazione decide tutto della nostra vita. Se la nostra comunicazione è una comunicazione felice noi siamo felici. Se chi hai intorno ti capisce e tu lo capisci, si sta bene...Quale periodo storico migliore di questo, quindi, è mai esistito! La tecnologia ci permette di comunicare con chiunque e in ogni istante! Smartphone e tablet la fanno da padroni! Ma il problema è...Ci relazioniamo veramente con le persone che contano nella nostra vita? E "ogni istante" ha veramente lo stesso valore all'interno della nostra giornata?
Riprendo il tema della dipendenza tecnologica già affrontato in un altro post lasciandovi semplicemente questo video che dura appena 90 secondi e che  ho deciso di vedere una volta a settimana...Magari mi aiuterà a disconnettermi dal mio iPhone per connettermi di più con i miei figli, mia moglie e le persone care che ho intorno.

giovedì 18 aprile 2013

La saggezza dei Simpson


 Se dovessi identificare la mia "paura professionale" di padre direi che è quella di non dare delle regole, di risultare un amicone incapace di "dare spina dorsale" ai miei pargoli, termine un po' retrò ma efficace. Sarà che mi hanno fatto una testa così con questa assenza dei padri nella società moderna, sarà per il mio carattere notoriamente poco incline all'autorità, insomma io mi rivedo molto in Marge e Homer Simpson nella puntata in cui decidono di punire Bart per l'ennesima marachella impedendogli di vedere l'attesissimo film di "Grattachecca e Fighetto". La motivazione di questo divieto sarà: se gliela faremo passare liscia Bart prenderà una brutta strada e finirà a fare lo spogliarellista in un locale di bassa lega (con eloquenti scenette di un Bart cresciuto in mutande con tanto di maniglie dell'amore). Viceversa, se teniamo duro gli daremo struttura e diventerà giudice della Corte Suprema. La puntata finirà appunto con un Bart cresciuto e togato che, accompagnato da un Homer visibilmente invecchiato in una Springfield futuristica, va finalmente al cinema a vedere il film, dato che  è rimasto l'unico in tutta la città a non averlo ancora visto. Carissimi e gialli coniugi di Springfield, capisco la vostra preoccupazione: anch'io quando devo mettere un NO a mio figlio mi ripeto che, in caso contrario, ne farò un tiranno senza senso del limite. Però ho sempre paura di farmi prendere la mano.

martedì 2 aprile 2013

Il padre. Libertà dono



Riportiamo la recensione del libro Il padre. Libertà dono di Claudio Risé riportata sul sito del settimanale Tempi)

Una società senza padri è destinata a soccombere, è necessario il loro ritorno. Sono in tanti a dirlo, ma per lo psicanalista di fama internazionale Claudio Risé, come si legge nel suo libro appena pubblicato, “Il padre. Libertà dono” (Ares, 192 pagine, 14 euro), questo «non significa un ritorno al padre autoritario da cui siamo scappati, quello delle leggi e dell’imposizione dall’alto», spiega a tempi.it. A mancare è un padre capace di tenerezza, «che è il contrario di un vago sentimento o di un servilismo nei confronti di figli padroni. La tenerezza è accoglimento dell’altro per quello che è. Il padre deve rispettare la diversità del figlio e accompagnarlo a scoprire chi è, senza imporre propri schemi, dicendo con affettuosa fermezza dei no là dove siano necessari a non farsi male».
L’assenza di un padre simile conduce la persona o a chiudersi in se stessa, rifiutando il mondo sentendolo nemico, o a omologarsi, facendo di tutto per avere l’approvazione degli altri. Come si esce da questa polarità?
Serve una madre che accolga pienamente il bambino, in completa sintonia, e lo rassicuri nei contatti con l’esterno: tale funzione, in una presenza affettiva costante, è fondamentale nei primi anni di vita. Il padre deve poi subentrare per staccare il figlio da questo rapporto per  stimolare il suo sviluppo personale e condividere con lui la ricerca del senso della vita, in un rapporto educativo di testimonianza. Si riceve amore e supporto e la persona cresce capace di stabilità e responsabilità verso il prossimo, contribuendo al benessere di tutta la società.
Parla delle patologie ignorate da chi predica la normalità dell’assenza di una figura paterna o materna, della famiglia omosessuale, dei figli che nascono in laboratorio, dell’aborto in cui il padre è messo da parte. Lega le stragi americane ai problemi familiari di chi le ha compiute. Parla del tabù per cui si finge che le madri che lavorano senza mai vedere i figli sono identiche a quelle che li accudiscono. Quale impatto avrà questo modello sulle generazioni future?

martedì 26 marzo 2013

Il tempo rubato ai nostri figli, ovvero: "Papaaaà, stai sempre con quel cellulare in mano…"

Capita a tutti noi maschietti, quando siamo a casa (il weeek-end o il pomeriggio dopo il lavoro), di sentire il bisogno di rilassarci, e per farlo cerchiamo i nostri spazi alienandoci magari dietro gli svariati "giocattoli" tecnologici (tablet, smart phone, iphone, ipad, kindle ultimagenerazione, ecc). Il problema è che spesso mentre sfruttiamo tutte le nostre dieci dita capacitive pretendiamo pure di avere una sottospecie di dialogo con le persone intorno a noi non rendendoci conto di come rendiamo mediocre una delle cose più belle della nostra vita: il tempo trascorso con i nostri filgi!

Riporto di seguito un articolo (tratto dal blog "Fermenti Cattolici Vivi") che ho letto la scorsa estate e che mi ha fatto molto riflettere e che spero abbia su tutti lo stesso effetto positivo che ha avuto su di me...

Papaaaà, stai sempre con quel cellulare in mano…

"Da quando mi sono regalato lo smart-phone ultimo grido – quello che fa le stesse cose dell’i-phone ma con software gratuito e più veloce, per capirci senza fare i nomi –  sono in grado di fare velocemente molte operazioni: tenere d’occhio la posta elettronica in ogni momento, curare le relazioni con i lettori del blog, aggiornare il blog stesso e gestirne i commenti… Tutto in tempo reale. Forte! È uno strumento utile ed efficiente e, come tutti gli strumenti, in sé non sono né buoni né cattivi, dipende dall’uso che se ne fa. Quale uso migliore quindi, di quello che ne faccio io, per il Regno di Dio?
È un mese che me la racconto ripetendo frasi del genere, vere, in un certo senso, grato alla tecnologia che oggi, permette di fare cose impensabili solo pochi anni fa. Lo faccio per il Signore, io, mica sono come gli altri che perdono ore a zuzzurellare su Facebook.
Però… Però, ho una figlia di sette anni che, come una sorta di acuto e sfacciatamente sincero piccolo principe, guarda, osserva e dice sempre quello che pensa. Chi ha dei figli lo sa. E così qualche giorno fa, fissato dai suoi due occhioni verde-nocciola tra il severo e il rassegnato, con quello sguardo con cui solo le donne (indipendentemente dagli anni e dal grado di parentela) ci sanno guardare,  mi sono sentito dire la fatidica frase: “Papaaaà, stai sempre con quel cellulare in mano!”.