martedì 18 novembre 2014

Piu idraulici, meno bambini

(di daddy full)

Sto guardando il volantino di una pubblicità immobiliare. Vendono appartamenti per famiglie in una zona semicentrale. Lo stabile è di nuova costruzione. Osservo quelle piantine più e più volte: c’è qualcosa che non torna. Un bilocale di 85 metri quadrati è composto solo da una sala con cucina non abitabile e una stanza da letto. Se si vuol conquistare una camera per metterci un figlio ci si deve spingere alla proposta da 135 metri quadrati. Ma si deve avere (o programmare di avere) un figlio solo: un altro non ci sta nemmeno col letto a castello. Se scende, rischia di sbattere conto l’armadio in fianco. Se il figlio invita un amico, questo o dorme sul divano o sul balcone. E parliamo di 135 metri quadrati! In compenso ci sono tre bagni. Uno per la coppia, uno per il possibile figlio unico, l’altro per le emergenze.
Per curiosità ho cercato un appartamento in cui farci stare 3 figli come ne ho ioNon c'è. Nei 175 metri quadrati del volantino di queste nuove case, di figli ce ne stanno due appena, e a malapena, in due camere-loculi. Però ci sono tre balconi. E tre bagni ovviamente. Mi sono incuriosito e ho cercato un appartamento in uno stabile un po’ più costoso. Per trovare tre camere da letto, una per i genitori e due per i figli, devi arrivare fino a 215 metri quadrati.
Penso alla casa dove sono cresciuto, dove 90 metri quadrati erano disegnati per avere tre camere, una sala, e una cucina dove potevi anche mangiare. Non serve molto spazio, basta distribuirlo bene. Ma è il segno dei tempi: la gente non fa più figli, gli architetti si adeguano. Eppure è vera anche un'altra cosa, e parlo per esperienza diretta: se in casa c’è un po’ di spazio, il desiderio di riempire le camere arriva. Ditelo ai costruttori e agli architetti. Quando il terzo bagno prende il posto del secondo figlio, l'unico ad essere contento è l'idraulico.

(fonte papà 24/7)

mercoledì 12 novembre 2014

La vera domanda è rischiare l'anima

(di Davide Rondoni)


I nostri ragazzi non fanno domande, perché? Una idea ce l’ho. Ma la devo dire piano. Spesso si sente dire che i nostri ragazzi, nelle Università ma non solo, non fanno domande. Non fanno domande a lezione, spesso non usano dei momenti di colloquio coi docenti. O lo usano per avere qualche informazione. E molto spesso mi sono sentito dire prima di fare una conferenza o una lettura di poesie a dei giovani: «Sai, poi non fanno mai domande». Previsione sempre peraltro smentita. Ma questa faccenda dei giovani che avrebbero smesso di fare domande mi incuriosisce. Se i giovani smettono di fare domande, e gli adulti smettono di essere inquietati, messi in questione dalle loro domande, una società si isterilisce e si spacca, si divide in generazioni che non si passano cose, ma stanno tra loro come faglie che si urtano. L’ho sentito ripetere da docenti di diversi atenei. Anche se naturalmente non mancano eccezioni. L’ultima volta che una brava docente universitaria me lo ha detto, le ho domandato: «Ma ti sei chiesta perché?». La sua faccia un po’ perplessa e l’abbozzo di risposta («forse per timore reverenziale...») mi ha confermato che no, non ci aveva pensato su granché.

Perché un giovane non fa domande all’adulto che è lì – o almeno dovrebbe essere così – per lui, per insegnargli qualcosa? Ci sono molte cause ambientali, diciamo così. Sicuramente, il fatto che l’università anche italiana abbia deciso di organizzarsi secondo lo schema 'a crediti', ha spesso reso la vita e il tempo degli studenti secondo un ritmo 'fai e incassa' rispetto al quale ogni surplus di interesse sembra, appunto, in più. Da questo, e da una certa riduzione impersonale, o più esattamente, funzionale del rapporto con il docente, visto come una specie di erogatore di servizi/crediti, il valore del fare domande viene frustrato o non incoraggiato. Ma la mia idea è che – al di là dei condizionamenti ambientali – ci sia sotto una questione enorme.

Il fatto è che le persone smettono di fare domande quando non si sentono (più) a rischio. Intendo dire che il genere di domanda e di curiosità dipende dal tipo di rischio che vivi. Se l’unico rischio che pensi di correre è quello di perdere la pensione o il lavoro, o fosse pure il rischio di perdere qualche buona occasione, rivolgerai domande di quel genere. Ovvero, nel caso del rapporto docente/ragazzo nasceranno tutt’al più domande limitatamente al servizio che il docente sta facendo, e se si possono evitare tanto meno disturbo per tutti. Al massimo si chiede di erogare bene quel servizio.

Nessuna curiosità in più o domanda di altro approfondimento, di apertura. Se invece avverti che la vita è un rischio totale che riguarda il perdere te stesso (l’anima, si dice) allora ogni occasione di confronto con qualcuno di autorevole, fosse pure in un settore particolare della vita, diviene occasione di curiosità e di scoperta. Se stai rischiando te stesso vivendo, ogni occasione è buona per imparare a farcela. Come Dante che nella selva oscura grida la sua domanda verso Virgilio, chiamato «lo mio autore». Ma se non mi sento nella selva, cosa me ne faccio di un «autore»? Di uno autorevole?

L’altra faccia della medaglia, infatti, riguarda la autentica autorevolezza. Non basta avere la targhetta 'prof' per essere avvertito autorevole da un giovane. Occorre, come Virgilio per Dante, essere percepito come uno che ha vissuto lo stesso rischio e che lo rivive. A nessuno che stia correndo un rischio vero (e un giovane, per quanto confusamente vive l’età del rischio) viene voglia di chiedere qualcosa a chi tale rischio sembra che non sappia cosa sia. Se non ti giochi l’anima di fronte ai ragazzi che hai di fronte, come pretendi che ti facciano vere domande? Al massimo chiedono qualche servizio in più. Aver diminuito spaventosamente il senso del rischio che si corre vivendo, averlo ridotto a un mero rischio di carriera o di successo, ha diminuito la dose di domanda. Allo stesso modo vale per la lettura: se non mi sento a rischio perché cercare autori? La lettura non cala solo perché i libri costano o per colpa di internet. Aver cacciato gli uomini dal grande rischio dell’anima li ha resi meno interessati a tutto.

(fonte: Avvenire)

giovedì 6 novembre 2014

Dichiaratevi adulti


Adulto: participio passato del verbo "adolescere"... colui che ha smesso di crescere



domenica 2 novembre 2014

2 novembre


Oggi ho portato i miei quattro figli  al cimitero del Verano per far visita alla tomba di mio padre. Era la prima volta che venivamo tutti insieme, ed è stato molto bello. C'era tanta gente, tante persone che sono venute a salutare i loro cari defunti. C'erano però anche diverse tombe lasciate senza un fiore, senza un ricordo. Una di queste si trova prorpio di fronte alla tomba di mio padre...E' di una bambina morta lo stesso giorno in cui è nata. La tomba, così abbandonata, ha colpito i miei figli ma ancor di più chiaramente li ha colpiti il fatto che quella bambina (Isabella è il suo nome) sia vissuta così poco. Ci siamo detti che alla prossima visita per il nonno porteremo dei fiori anche per lei...

"Portare un fiore su un a tomba è un segno di speranza e di fede: ponendolo sulla terra o sulla pietra diciamo che nel nostro cuore c'è la certezza, la fiducia o almeno il desiderio che quella pietra o quella nuda terra, come il deserto quando viene la pioggia o come i campi dopo un gelido inverno, tornino a fiorire, restituendoci la vita di chi ci è caro.

I cristiani sanno che questo è vero perchè Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, ha condiviso l'esperienza della morte con ogni uomo ma, con la forza dello spirito Santo, ha vinto la morte nella risurrezione e ha aperto a ogni uomo e a ogni donna il passaggio da questa esistenza terrena alla pienezza di vita eterna.

Fermati un istante sulla tomba dei tuoi cari e condividi con loro  e per loro un istante di preghiera. Condividilo anche con la tua famiglia, con i filgi e i nipoti, perchè non serve occultare la morte e le domande che essa ci pone, ma è opportuno aprire il nostro cuore alla grazia di Dio che dona consolazione e fiducia"


giovedì 30 ottobre 2014

15 cose che ogni papà con delle figlie dovrebbe sapere

Riportiamo un articolo di Justin Ricklefs uscito qualche mese fa sull' Huffington Post che mi ah molto colpito visto la situazione analoga in cui mi trovo :-P
Justin è un papà di 5 figli di cui ben 4 femmine! In questo articolo fa un elenco di diversi comportamenti che ogni papà dovrebbe avere con le prorprie figlie... Il punto 4 e il punto 12 sono i più belli ma anche gli altri meritano un'attenta lettura!

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"Sarà tosta per te quando diventeranno adolescenti". "Ciccio, sei circondato dalle donne". "Che cos'hai fatto di male per meritartelo?".
Facendo da papà a quattro figlie (abbiamo anche un figlio maschio), sento roba del genere quasi ogni giorno. E francamente sono io a compatire la gente che la pensa così.
Avere delle figlie è una delle gioie più grandi che io possa immaginare. In casa abbiamo un modo di dire: "Oggi ti voglio più bene di ieri". Crescere delle ragazze è un privilegio, non un peso.
Non è che tutto mi sia chiaro, ma ci sono quindici cose che ho certamente imparato durante questi ultimi undici anni, crescendo le mie ragazze.

1.Vuole essere amata. Più di quanto desideri la roba che le puoi comprare, o le cose che le puoi insegnare, vuole essere amata da te. Nessun altri sulla terra potrà mai assumere il tuo ruolo di papà. Tua figlia ti deluderà, farà dei grandi errori, e forse, per qualche ragione, finirà perfino col voltarti le spalle, ma non lasciare mai che dubiti del tuo amore per lei. Guardala negli occhi e dille che le vuoi bene. Spesso.

2. Influenzerai la sua futura scelta di un partner. Sì, è un pensiero spaventoso, ma il genere di uomo che sei avrà un impatto diretto sulla persona che un giorno deciderà di sposare. Per anni e anni, la nostra terza figlia mi ha pregato di sposarla una volta che fosse diventata adulta. Le ho dovuto spiegare che ero già sposato con la sua fantastica madre. Se fai bene il tuo lavoro, vorrà sposare qualcuno come te, un giorno.

3. Ascolta la sua musica. Quando le mie ragazze sono in auto con me, ci puoi incrociare mentre ci mettiamo a cantare ascoltando su Pandora la musica di Taylor Swift, One Direction, Cody Simpson, Kidz Bop Radio, Katy Perry, insomma avete capito. Non proprio il genere di canali radio che ascolterei per conto mio (con una sola eccezione - adoro Taylor Swift), ma se entusiasma loro, entusiasma anche me.

4. Lei osserva come tratti sua madre. Di tutta questa lista, se devi salvare un solo punto, fai che sia questo. Una delle cose migliori che potete fare per vostra figlia è amare e rispettare sua madre. È facile essere concentrati sui propri figli. Passare da una delle loro attività all'altra. Ma lotta per il tuo matrimonio, e fanne una priorità. Le stagioni della vita in cui perdo di vista il mio rapporto con Brooke (mia moglie) sono le stesse in cui i nostri figli hanno più problemi. Non penso che sia una coincidenza. Ama tua moglie, prenditi il tempo per uscire con lei, portarla in viaggio, e mostrare ai tuoi figli che è prioritaria rispetto a loro.

5. Non scomparire man mano che cresce. La nostra figlia più grande ha quasi undici anni, per cui non stiamo ancora attraversando i temuti anni dell'adolescenza, ma io dico: non mi tirerò indietro. I papà che hanno fatto più strada di me tendono a rimpiangere il fatto di non essere stati maggiormente coinvolti sentimentalmente con le loro figlie adolescenti. Sarà imbarazzante per tutti, ma mi ci tufferò. Mestruazioni, fidanzati, ascelle da radere, Snapchat, qualunque cosa sia. Le mie ragazze non noteranno alcuna differenza nel mio impegno quando avranno quindici anni rispetto a quando ne avevano cinque. Non scomparire quando i loro sentimenti e i loro corpi iniziano a cambiare.

6. Insegnale come fare i push-up. Nessuno mi scambierebbe per Billy Blanks, ma in famiglia la salute e il benessere li prendiamo sul serio. Le mie ragazze non sono delle mammolette. Sanno come fare dei veri push-up. Fanno sport come si deve. Ritengono che "tiri come una ragazza" sia un complimento, non un insulto. Ci si mettono. E più delle loro doti fisiche, le stiamo crescendo mentalmente resistenti. Come la mamma. In un mondo in cui la femminilità si associa fin troppo spesso ad abiti da principessina e fiabe, le mie ragazze sono belle toste.

7. Crea i tuoi ricordi. Un amico una volta mi ha detto che il mio lavoro è quello di Mastro dei Ricordi di casa. È un po' morboso, ma su questa terra mi restano fra i 50 e i 60 anni al massimo. E non è tanto tempo, per cui mi impegnerò a documentare quanti più ricordi possibile in compagnie delle mie ragazze. Celebriamo momenti importanti come il viaggio per i dieci anni, ma prendiamo sul serio anche le piccole cose. Le serate di famiglia al cinema il venerdì sera. Le grandi colazioni del sabato mattina. Le passeggiate dopo la chiesa. Non necessariamente qualcosa di costoso o impegnativo, ma con un senso. Riempi il diario emotivo di tua figlia di suoi ricordi in compagnia del padre.

8. Insegnale che non tutto la riguarda. Qualcosa di stupefacente accade quando finalmente capiamo che l'universo non gira intorno a noi. Non ne stiamo modellando uno perfetto per le nostre ragazze, ma stiamo cercando di mostrare loro che la vita migliore è quella in cui ci doniamo. Per servire gli altri. Per arrivare ultimi. Per non avere sempre ragione.

9. Fatti vedere nei suoi momenti importanti. Come papà di figlie piccole, molti di noi si ritrovano contemporaneamente impegnati nelle proprie rispettive carriere. Ragion per cui non è possibile farlo ogni volta, ma fai almeno lo sforzo di esserci. Anche se non è il tuo momento preferito. Odio quella pubblicità del padre che si guarda la partita sul cellulare durante il saggio di danza della figlia. Amo seguire una partita di football quanto chiunque altro, ma batti le mani per il saggio di tua figlia tanto quanto lo faresti sul divano guardando lo sport.

10. La vicinanza non è presenza. Lo dimentico spesso, ne sono colpevole. Il fatto di esserci non significa che tu sia veramente lì. Soprattutto in un'epoca di costanti flussi d'informazione e intrattenimento. Spegni il tuo cellulare quando torni a casa dal lavoro. O almeno lascialo in un'altra stanza. A tua figlia non potrebbe importare di meno del tuo feed di Twitter, delle tue mail, del fantacalcio, o dei tuoi messaggi di gruppo. Ciò che le importa è trascorrere il tempo con te. Giocare con te. Stare con te.

11. Pettinala e dalle lo smalto. È Brooke a farlo il 99 per cento delle volte, ma alle mie ragazze ricordo sempre che papà è in grado di fare una coda di cavallo che levati. E posso dar loro lo smalto come solo un campione sa fare. Diamine, a volte loro hanno dato lo smalto alle mie. Mostrale che un uomo sa essere gentile.

12. Esci con lei. Vorrei poter dire che lo faccio regolarmente, ma anche solo ogni qualche mese è meglio che mai. Uscire con tua figlia è d'importanza critica per mostrarle come un uomo dovrebbe trattare una donna. Chiamatemi vecchio stile, ma quando esco con le mie ragazze apro loro le porte, pago il conto, le guardo negli occhi e le faccio sentire preziose. Che non vuol dire spendere tanti soldi. Un giro dell'isolato. Una breve pedalata. Una capatina dal gelataio. Niente di necessariamente lussuoso, ma ancora, dev'essere carico di senso.

13. Il suo cuore è più bello del suo aspetto. Sai, papà? Dire a tua figlia che ciò che le farà fare strada nella vita è quel che ha dentro, e ripeterglielo milioni di volte, è il tuo lavoro. In casa parliamo di cuore, ma può essere la sua forza d'animo, la sua autostima, la sua essenza. Crescere delle ragazze in questo mondo incentrato sulla sensualità non è facile, ma non dovranno accontentarsi della convinzione che essere carine significhi infilarsi in una taglia 0, oppure mettere in mostra ogni centimetro della loro pelle quando entrano in una stanza.

14. Non fare una piega. Kenny Chesney aveva ragione (https://www.youtube.com/watch?v=4f0p5KqdU9U). Ti chiama papà. Goditi il ruolo -- passa in fretta.

15. Mi potrai mai perdonare?. Dimentico i punti dall'1 al 14 più di quanto non mi piacerebbe ammettere. Faccio del mio meglio. E anche tu. Ma quando sbaglio, quando ferisco i suoi sentimenti, e quando i miei intenti risultano migliori delle mie azioni, sto imparando a chiederle perdono. Non delle semplici scuse, ma una sincera richiesta di perdono. Un papà modello è colui che scende al suo livello e ammette che non ha sempre tutto sotto controllo. E lei ti perdonerà per questo.
Papà, il vostro ruolo è prezioso. Amate le vostre figlie al meglio.

venerdì 10 ottobre 2014

Caro Sindaco di Roma #iostoconipasseggini


Sabato scorso (4 ottobre 2014) a Roma  insieme a centinaia di persone  ho manifestato contro l'aumento delle tarffe degli asili nido ma soprattuto contro l'eliminazione dell'esenzione del terzo figlio. E si, perchè io che ho la mia quarta figlia all'asilo, grazie a una delibera approvata questa estate dal Consiglio Comunale (a iscrizioni concluse),  mi sono visto una rata che da 0 euro è passata a 140 euro al mese...1400 euro l'anno che in una famiglia monoreddito di 6 persone con mutuo da pagare è veramente una mazzata!

Vedere Piazza del Campidoglio invasa da tutti quei passeggini (ne sono stati contati 1003!) è stata veramente un'immagine d'effetto!
Perchè i passeggini vuoti? Per dare un'idea di ciò incontro a cui stiamo andando...Una città senza bambini e quindi senza futuro. La scelta del sindaco Marino e della maggioranza della giunta comunale va a sottolineare la completa inesistenza di politiche familiari in cui ci troviamo.
Caro sindaco Marino...Ma tu lo conosci l'articolo 31? No Ignazio [Marino n.d.t.] non parlo del gruppo rap...Parlo di quello che dice la nostra Costituzione:

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
E quindi? Tu che fai? Togli l'agevolazione per il terzo figlio? L'hai fatta  grossa! E poi scusa...Tu non sei un sindaco di Sinistra? Ma la Sinistra non dovrebbe tutelare le fasce deboli?
Sconcertante caro Sindaco...Sconcertante la faccia tosta che hai avuto durante l'intervista delle Iene del 1° ottobre (vedi qui: http://mdst.it/03v485574/)...Imbattibile l'affermazione: "...non abbiamo aumentato le tariffe ai Rolling Stones perché siamo un'amministrazione seria, che non aumenta in corsa le tariffe! ". Ah si? Ai Rolling Stones no e alle famiglie si?
Diciamoci la verità caro Sindaco...Questa cosa l'hai prorpio toppata!
 

sabato 4 ottobre 2014

Ho visto educare

 
Erano mesi che volevo scrivere questo post e stasera mi sono deciso. E si, perchè quando incontri qualcuno veramente forte non puoi tenertelo per te! 
Lo scorso Natale mio suocero Gioacchino mi regala questo libro: "Di Padre in Figlio - Conversazioni sul rischio di educare" di Franco Nembrini.

Il nome dell'autore mi era già noto poichè avevo letto di lui da qualche parte in merito a degli incontri  fantastici fatti in giro per l'Italia leggendo e spiegando Dante a giovani e adulti.
Inizialmente pensavo fosse un pistolotto su come devi educare un fglio, cosa dirgli, come dirglielo e così via. Ma poi ho cominciato a leggerlo...e mi si è aperta una prospettiva sull'educzione che ha messo in evidenza una verità che sicuramnte avevo dentro ma che Nembrini ha chiarito magnificamente...

"Io stavo correggendo i temi e mi ricordo che, a un certo punto, mi sono accorto che c’era lì mio figlio, avrà avuto 4 o 5 anni. Non lo avevo sentito arrivare: era arrivato e stava lì tranquillo ad osservare suo padre al lavoro. In quello sguardo, quel giorno, mi è sembrato di capire, di colpo, che cosa fosse l’educazione. …era lì e mi guardava…ho letto in quello sguardo una domanda radicale, come se mio figlio mi dicesse: ”Papà, assicurami che vale la pena venire al mondo. Dimmi qual’è la speranza che tu hai, perché ti alzi al mattino e vai a letto la sera. Perchè la fatica del vivere, la morte, il dolore, la fedeltà, il sacrificio? Qual’è la ragione vera? Accompagnami a questo: è l’unica cosa che ti chiedo."

Cavolo che domandona! Un bambino che ti chiede una cosa del genere ti spiazza!
I nostri figli dal primo giorno di vita ci guardano! Sono curiosi, guardano incessantemente le cose che accadono. Inconsapevolmente prima e consapevolmente dopo si guardano intorno e sopratutto guardano noi, continuamente...E in questo modo apprendono!

I nostri figli - dice Nembrini - sono sintonizzati direttamente sul nostro cuore, ascoltano quello che siamo, non quello che diciamo, quindi quella che chiamiamo "Emergenza Educativa" più che loro riguarda prorpio noi (genitori o educatori in genere)!

Nostro figlio ci chiede se vale la pena di vivere, ci chiede se siamo felici che lui c'è, non di com'è. Per trasmettere questo non servono tanto le parole intese soprattutto come prediche raccomandazioni e cose simili che spesso, invece di dare i risultati sperati, rischiano di avere l'effetto opposto.
Ciò che serve veramente nell'educazione è  la testimonianza di un bene grande da far vedere!

Grazie Franco!


Nota Bene x chi è di Roma!
Dopo gli incontri base fatti a settembre da Nembrini dall'11 Ottobre presso il teatro Orione (S. Giovanni) comincia il ciclo dei tre incontri sull'educazione! Di seguito la locandina



mercoledì 7 maggio 2014

Ma il peccato è dimenticare la bellezza


(Pubblichiamo un articolo di Alessandro d'Avenia apparso su  La Stampa del 29/04/2014, a mio modo di vedere il miglior commento possibile alla "vicenda Giulio Cesare")

Denunciateci, cari genitori, ma non per quello che facciamo leggere ai vostri figli, ma per quello che non facciamo leggere loro. 

Noi insegnanti, frequentatori delle belle lettere, a volte rinunciamo alla bellezza. Per questo dovete mandarci in galera. Denunciateci perché non facciamo leggere che una vivisezione dei Promessi sposi(chi non odia quel romanzo dopo la scuola?).

Denunciateci perché non facciamo leggere Dante, perché è difficile, perché tanto non lo capiscono, perché parla troppo di Dio. Denunciateci perché non facciamo leggere i classici per intero ma li facciamo a brani, come in macelleria. Denunciateci perché facciamo credere ai ragazzi che le poesie siano inutili coriandoli, e non parti di raccolte significative nella loro interezza. Denunciateci perché non facciamo leggere la letteratura straniera ma solo quella nostrana, minori compresi, piuttosto che Baudelaire, Dostoevskij, Eliot. Denunciateci perché non crediamo più alla bellezza tutta intera. Per farti amare la Venere di Botticelli te ne faccio vedere solo alcuni centimetri quadrati o ti porto di fronte al quadro? 

martedì 29 aprile 2014

"Voglio la mamma"


Ieri sera ho finito di leggere "Voglio la mamma" di Mario Adinolfi.
E' un libro che  invita tutti a discutere ed approfondire il tema dei diritti non negoziabli . Sono pagine  che non lasciano indifferenti. In alcuni passaggi può far innervosire, ma l'intento, a mio avviso, è chiaramente provocatorio per cui ti costringe a riflettere su argomenti ormai erroneamente banalizzati.

Di seguito riporto i 20 punti del Capitolo 14 (che condivido pienamente) che Adinolfi introduce così:

Giunti verso la fine di questa strada compiuta insieme, credo sia necessario racchiudere quel che si è provato a dire in venti punti che rappresentano principi irrinunciabili che ritengo non solo non debbano essere negoziabili, ma necessitino un'attività di proselitismo per ricondurre il dibattito intellettuale e politico sui temi tabù che abbiamo affrontato dentro i confini di una razionalità condivisa, lontano dall'impazzimento modaiolo che sembra avere la meglio in questa fase.

1. Non esiste l'individuo, esiste la persona, dunque l'individuo in relazione con altri individui. La relazione primigenia, archetipica e intangibile, è quella tra madre e figlio. Negarla è negare la radice dell'essere umano.

2. La libertà individuale è un totem che non necessita di tutele e non genera diritti. Al contrario, la libertà personale, dunque la libertà degli individui in relazione con gli altri, è preziosa e va ampliata senza che nuovi diritti ledano però l'essere umano in radice.

3. La libertà personale da tutelare in via prioritaria è quella dei soggetti più deboli: bambini, malati, anziani.

4. Il primo diritto è il diritto a vivere.

5. Non esiste un diritto all'aborto, esiste un diritto alla nascita. L'aborto è sempre una tragedia e un fallimento, come tale va trattato e con ogni sforzo possibile evitato.

lunedì 7 aprile 2014

Generazione Telemaco

(ribloggato da La Porzione)
l gruppo marmoreo “Enea, Anchise e Ascanio”, conservato nella Galleria Borghese a Roma, fu realizzato da Gian Lorenzo Bernini nel 1619. Il soggetto è tratto dall’Eneide di Virgilio: Enea fugge da Troia in fiamme, portando sulle spalle il vecchio padre Anchise e tenendo per mano il figlioletto Ascanio. Si tratta di una statua “a torre”, con un evidente slancio verticale: nella parte più alta Anchise porta in mano il cosiddetto“keramos troikos”, con le ossa degli avi e con sopra le statuette dei Penati troiani (il simbolo della Patria abbandonata); al centro si trova Enea – il futuro fondatore di una nuova civiltà – che sorregge il padre; più in basso, al piccolo Julo Ascanio, chiamato a
questafondare la gens julia e a regnare nel Lazio, è posto in mano il più importante “pignus imperii”, il fuoco eterno di Vesta con il quale accenderà la nuova vita di Roma. A parte il pregio artistico, è affascinante la portata simbolica di questo gruppo marmoreo. È un’immagine compiuta e potente del grande “pater familias”, una figura simbolica della funzione dell’autorità genitoriale: la catena delle generazioni attraverso cui di padre in figlio si tramanda sempre un “regno”, un’eredità di geni e di beni, capace di generare dal passato il futuro. Nell’opera di Bernini, la catena delle generazioni mi sembra rappresentata da due elementi: a) la differenziazione generazionale, resa mirabilmente dalla caratterizzazione delle epidermidi: la pelle morbida e rosata del bambino, quella tesa che riveste i muscoli dell’uomo adulto, e quella avvizzita e rugosa del vegliardo; b) la diversità degli atti educativi: Anchise è il depositario della tradizione; Enea è il medium che sostiene la tradizione e accompagna il futuro; Ascanio è l’erede che si affida al presente e al passato, ma stringendo già un impegno di futuro tra le mani.
Gli psicoanalisti, e non solo loro, sarebbero concordi nel sentenziare che questo modello “a torre” dell’autorità genitoriale sia ormai eclissato, irrimediabilmente tramontato.

domenica 30 marzo 2014

San Giuseppe educatore

Pubblichiamo il testo dell'udienza generale del 19 marzo tenuta da Papa Francesco in occasione della ricorrenza di San Giuseppe


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, 19 marzo, celebriamo la festa solenne di san Giuseppe, Sposo di Maria e Patrono della Chiesa universale. Dedichiamo dunque questa catechesi a lui, che merita tutta la nostra riconoscenza e la nostra devozione per come ha saputo custodire la Vergine Santa e il Figlio Gesù. L’essere custode è la caratteristica di Giuseppe: è la sua grande missione, essere custode.
Oggi vorrei riprendere il tema della custodia secondo una prospettiva particolare: la prospettivaeducativa. Guardiamo a Giuseppe come il modello dell’educatore, che custodisce e accompagna Gesù nel suo cammino di crescita «in sapienza, età e grazia», come dice il Vangelo. Lui non era il padre di Gesù: il padre di Gesù era Dio, ma lui faceva da papà a Gesù, faceva da padre a Gesù per farlo crescere. E come lo ha fatto crescere? In sapienza, età e grazia.
Partiamo dall’età, che è la dimensione più naturale, la crescita fisica e psicologica. Giuseppe, insieme con Maria, si è preso cura di Gesù anzitutto da questo punto di vista, cioè lo ha “allevato”, preoccupandosi che non gli mancasse il necessario per un sano sviluppo. Non dimentichiamo che la custodia premurosa della vita del Bambino ha comportato anche la fuga in Egitto, la dura esperienza di vivere come rifugiati – Giuseppe è stato un rifugiato, con Maria e Gesù – per scampare alla minaccia di Erode. Poi, una volta tornati in patria e stabilitisi a Nazareth, c’è tutto il lungo periodo della vita di Gesù nella sua famiglia. In quegli anni Giuseppe insegnò a Gesù anche il suo lavoro, e Gesù ha imparato a fare il falegname con suo padre Giuseppe. Così Giuseppe ha allevato Gesù.

mercoledì 19 marzo 2014

Viva i papà!

[...] Viva i papà! Viva i papà che fanno tardi, che sono in giro per lavoro; viva i papà che non mollano mai, e valgono più dell’oro. Viva i papà che insegnano ai figli ad andare in bicicletta; viva i papà che per i figli vorrebbero una vita perfetta. Viva i papà per come sono, per tutte le volte che hanno accettato le nostre scuse insegnandoci a crescere, insegnandoci il perdono. E viva in papà volati in cielo troppo presto, ma che guardano sempre giù. Viva i papà che restano nel cuore e non se ne vanno più.

 [giulianoguzzo.wordpress.com]

venerdì 14 febbraio 2014

Il decalogo del papà (di Bruno Ferrero)


Bruno Ferrero (scaerdote salesiano e scrittore) nel marzo del 2005 ha regalato a tutti i papà questo bellissimo decalogo:

1°. Il primo dovere di un padre verso i suoi figli è amare la madre. La famiglia è un sistema che si regge sull'amore. Non quello presupposto, ma quello reale, effettivo. Senza amore è impossibile sostenere a lungo le sollecitazioni della vita familiare. Non si può fare i genitori "per dovere". E l'educazione è sempre un "gioco di squadra". Nella coppia, come con i figli che crescono, un accordo profondo, un'intima unione danno piacere e promuovono la crescita, perché rappresentano una base sicura. Un papà può proteggere la mamma dandole in "cambio", il tempo di riprendersi, di riposare e ritrovare un po' di spazio per sé.

2°. Il padre deve soprattutto esserci. Una presenza che significa "voi siete il primo interesse della mia vita". Affermano le statistiche che, in media, un papà trascorre meno di cinque minuti al giorno in modo autenticamente educativo con i propri figli. Esistono ricerche che hanno riscontrato un nesso tra l'assenza del padre e lo scarso profitto scolastico, il basso quoziente di intelligenza, la delinquenza e l'aggressività. Non è questione di tempo, ma di effettiva comunicazione. Esserci, per un papà vuol dire parlare con i figli, discorrere del lavoro e dei problemi, farli partecipare il più possibile alla sua vita. E' anche imparare a notare tutti quei piccoli e grandi segnali che i ragazzi inviano continuamente.

3°. Un padre è un modello, che lo voglia o no. Oggi la figura del padre ha un enorme importanza come appoggio e guida del figlio. In primo luogo come esempio di comportamenti, come stimolo a scegliere determinate condotte in accordo con i principi di correttezza e civiltà. In breve, come modello di onestà, di lealtà e di benevolenza. Anche se non lo dimostrano, anche se persino lo negano, i ragazzi badano molto di più a ciò che il padre fa', alle ragioni per cui lo fa. La dimostrazione di ciò che chiamiamo "coscienza" ha un notevole peso quando venga fornita dalla figura paterna.