martedì 26 marzo 2013

Il tempo rubato ai nostri figli, ovvero: "Papaaaà, stai sempre con quel cellulare in mano…"

Capita a tutti noi maschietti, quando siamo a casa (il weeek-end o il pomeriggio dopo il lavoro), di sentire il bisogno di rilassarci, e per farlo cerchiamo i nostri spazi alienandoci magari dietro gli svariati "giocattoli" tecnologici (tablet, smart phone, iphone, ipad, kindle ultimagenerazione, ecc). Il problema è che spesso mentre sfruttiamo tutte le nostre dieci dita capacitive pretendiamo pure di avere una sottospecie di dialogo con le persone intorno a noi non rendendoci conto di come rendiamo mediocre una delle cose più belle della nostra vita: il tempo trascorso con i nostri filgi!

Riporto di seguito un articolo (tratto dal blog "Fermenti Cattolici Vivi") che ho letto la scorsa estate e che mi ha fatto molto riflettere e che spero abbia su tutti lo stesso effetto positivo che ha avuto su di me...

Papaaaà, stai sempre con quel cellulare in mano…

"Da quando mi sono regalato lo smart-phone ultimo grido – quello che fa le stesse cose dell’i-phone ma con software gratuito e più veloce, per capirci senza fare i nomi –  sono in grado di fare velocemente molte operazioni: tenere d’occhio la posta elettronica in ogni momento, curare le relazioni con i lettori del blog, aggiornare il blog stesso e gestirne i commenti… Tutto in tempo reale. Forte! È uno strumento utile ed efficiente e, come tutti gli strumenti, in sé non sono né buoni né cattivi, dipende dall’uso che se ne fa. Quale uso migliore quindi, di quello che ne faccio io, per il Regno di Dio?
È un mese che me la racconto ripetendo frasi del genere, vere, in un certo senso, grato alla tecnologia che oggi, permette di fare cose impensabili solo pochi anni fa. Lo faccio per il Signore, io, mica sono come gli altri che perdono ore a zuzzurellare su Facebook.
Però… Però, ho una figlia di sette anni che, come una sorta di acuto e sfacciatamente sincero piccolo principe, guarda, osserva e dice sempre quello che pensa. Chi ha dei figli lo sa. E così qualche giorno fa, fissato dai suoi due occhioni verde-nocciola tra il severo e il rassegnato, con quello sguardo con cui solo le donne (indipendentemente dagli anni e dal grado di parentela) ci sanno guardare,  mi sono sentito dire la fatidica frase: “Papaaaà, stai sempre con quel cellulare in mano!”.

giovedì 21 marzo 2013

Lettera a una bambina che sta per nascere



"Se mi chiedessero di scrivere una lettera a una bambina che sta per nascere, lo farei così:

Cosa hai sentito finora del mondo attraverso l'acqua e la pelle tesa della pancia di mamma? Cosa ti hanno detto le tue orecchie imperfette delle nostre paure? Riusciremo a volerti senza pretendere, a guardarti senza riempire il tuo spazio di parole, inviti, divieti? Riusciremo ad accorgerci di te anche dai tuoi silenzi, a rispettare la tua crescita senza gravarla di sensi di colpa e di affanni? Riusciremo a stringerti senza che il nostro contatto sia richiesta spasmodica o ricatto d'affetto?

Vorrei che i tuoi Natali non fossero colmi di doni - segnali a volte sfacciati delle nostre assenze - ma di attenzioni. Vorrei che gli adulti che incontrerai fossero capaci di autorevolezza, fermi e coerenti: qualità dei più saggi. La coerenza, mi piacerebbe per te. E la consapevolezza che nel mondo in cui verrai esistono oltre alle regole le relazioni e che le une non sono meno necessarie delle altre, ma facce di una stessa luna presente.
Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a inseguire le emozioni come gli aquiloni fanno con le brezze più impreviste e spudorate; tutte, anche quelle che sanno di dolore. Mi piacerebbe che ti dicessero che la vita comprende la morte. Perché il dolore non è solo vuota perdita ma affettività, acquisizione oltre che sottrazione. La morte è un testimone che i migliori di noi lasciano ad altri nella convinzione che se ne possano giovare: così nasce il ricordo, la memoria più bella che è storia della nostra stessa identità.

mercoledì 20 marzo 2013

Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!



Pubblichiamo, per celebrare degnamente il giorno di S. Giuseppe, l'omelia di Papa Francesco per la messa di inizio Pontificato. Nessun contributo potrebbe essere migliore di questo!


"Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale:
è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.

Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).

mercoledì 13 marzo 2013

La rabbia dei figli rimasti senza padri



--> Riportiamo un bellissimo articolo di Alessandro D'Avenia di qualche anno fa pubblicato su "La Stampa" <--

La rabbia dei figli rimasti senza padri

Nella città in cui vivo alla velocità di una bicicletta incontri segni che allo sguardo a motore sfuggono. Così su un ponte costellato da scritte murali, tumulto di amori, rabbie o vandalismo espressivo, ho letto: «il futuro non è più quello di una volta». Ho immaginato il/la giovane che, complice la notte, ha verniciato il suo tormento, come nelle innumerevoli email di persone che hanno letto il mio romanzo: in cosa posso credere e giocarmi la vita? Il presente, che è l'unica cosa che ci è dato vivere in spirito e carne, è in realtà il luogo in cui si realizza ciò che ci rappresentiamo come futuro. Se il futuro sparisce, evapora anche il presente. Un bambino senza l'abbraccio e la cura dei genitori non interiorizza mai il futuro come promessa: il mondo per lui sarà una selva oscura senza uscita, il tempo un sicario pronto a eliminarti.

Lo stesso accade con i ragazzi, con i quali sto in classe, e in generale con i giovani. Solo se percepiscono lo sguardo promettente di qualcuno che, appartenendo alla generazione precedente, fa da mediatore tra il futuro e il presente fragile in cui si trovano, sono disposti a mettere in gioco la loro libertà sulle rotte della vita e navigare lontano dai porti sicuri delle mura casalinghe, affrontando la tempesta e la bonaccia, alla ricerca di quel porto segnalato sulle carte geografiche del desiderio: l'immagine di futuro interiorizzata. Ma se il futuro non ha immagine, se sparisce lo spazio ideale in cui i sogni si possono realizzare, svanisce l'aspetto sognante della realtà, necessario ad affrontare fatiche e ombre del presente quotidiano. Non sto parlando delle illusioni in cui ci rifugiamo per vincere la frustrazione dei nostri limiti e sconfitte, ma di quella reale possibilità di sognare, cioè di sperare nel futuro, per il semplice fatto che ognuno di noi c'è ed è il sogno di qualcun altro.

lunedì 11 marzo 2013

Cercasi padri disperatamente


Vorrei segnalare a tutti questa interessante giornata di formazione, organizzata dall'Associazione Archè, che si terrà sabato prossimo, 16 marzo, a Roma. 

L'argomento dovrebbe interesserarci:

Nel nome del Padre - Cercasi padri disperatamente
Roma, 16 marzo 2013

Di seguito il link dove trovate tutte le informazioni per iscriversi, il programma, il luogo dell'inontro. Nello stesso sito web troverete tutte le iniziative di questa Associazione.

Questione di tempo


Ormai è passato un pò di tempo da quando Luca mi ha segnalato questo blog, dedicato a noi padri, su cui poter condividere le nostre esperienze.
Ma, tanto per restare in tema con il post precedente, la mia esperienza è che... non ho mai tempo! Sì... il tempo perseguita anche me...

Ogni tanto io e mia moglie, ridendo, ricordiamo di quando, al primo anno di matrimonio, ci arrabbiavamo con il vicino, mezzo sordo, che all'alba accendeva la messa domenicale in tv a tutto volume. All'epoca "alba" per noi voleva dire le 10:30...

Ora la domenica capita di svegliarsi con l'urlo di mia figlia Elena alle 7:30:  "Papà!!! Mamma!!! Sono svegliata!!!." Ed é la stessa Elena che nei giorni lavorativi sembra presa da un torpore micidiale, che deve essere trascinata, supplicata di non buttarsi per terra, nella corsa ad ostacoli verso la scuola (nell'ordine: pipì, vestiti, colazione, denti, preparazione merenda, buono pasto, grembiule, sciarpa, cappello, giacca, ascensore, ecc ecc). "Elena, amore piccolo di papà, perchè proprio oggi che è domenica alle 7:30 sembri sotto effetto di doping"? Capita anche a voi colleghi papà, vero?

Ma questa è avventura! E poi - parliamoci chiaro - è bello avere più tempo la domenica e non rimanere troppo a poltrire!

giovedì 7 marzo 2013

Ma come fai?


Oggi di famiglie con più di due figli non ce ne sono molte in giro...Qualcuna con tre ogni tanto se ne vede...ma con quattro o più sono una rarità e sopratutto vengono guardate con sospetto...
E' quello che capita a me quando vado in giro con i miei quattro marmocchi (mi piace chiamarli così anche se i primi due hanno 8 e 6 anni e cominciano ad essere piccoli/e ragazzi/e).
"Sono tutti vostri?" - è la domanda che fanno tutti...
"E si" - rispondo io
Devo dire che, negli occhi di molte persone, vedo una sincera ammirazione ma in altre noto una forma di compassione..."Poveracci" pensano...
Ma io in realtà non mi sento un poveraccio, anzi, credo di essere l'uomo più fortunato della terra! Quattro figli sono stancanti, a volte insopportabili, ma sicuramente la cosa più bella che mi sia capitata (dopo la mia mogliettina chiaramente, senza la quale non stavo qui a scrivere). Mi sento spesso inadatto come genitore...sbaglio, anche molte volte, ma cerco di mettercela tutta, confidando soprattutto che oltre a me questi bimbi hanno un Padre Celeste a cui ogni sera, quando li metto a letto, li affido.

Ma torniamo alle domande della gente, non quelle delle persone  che incontri per strada, ma quelle degli amici un po' più intimi che mi chiedono:

"Ma come fai?
"Mi sembra impossibile riuscire a fare le cose con uno! Ma tu come fai con quattro?"

E non è facile rispondere anche perché in effetti a volte mi sembra di non farcela...

venerdì 1 marzo 2013

Spaziale o Terrestre?



Ieri, mentre tornavo a casa un po' frastornato dalle ultime notizie da Strasburgo e dalla crescente offensiva sui temi eticamente sensibili, mi è venuto in mente quella che secondo me è una delle più belle saghe di Fantascienza, il Ciclo dei Robot di Isaac Asimov.
Nel futuro immaginato dal geniale Isaac l'umanità è divisa in due società: da un lato gli Spaziali, colonizzatori di 23 pianeti a ridosso della Terra, e dall'altra i Terrestri, rimasti fedeli al nostro affollato pianeta di origine. Le due società sono nettamente differenti. Gli spaziali sono pochi, culturalmente ed economicamente avanzatissimi, pianificano di tutto punto vite lunghissime e libere dalla malattia grazie al massiccio utilizzo dell'eugenetica, dipendono fortemente dall'uso dei robot, vere e proprie "balie" elettroniche grazie ai quali si sono affrancati da tutti i lavori pratici. Socialmente parlando rappresentano una società "liquida", per dirla alla Zygmut Baumann: i legami interpersonali sono molto volubili e tendono a rarefarsi, al limite a scomparire (su alcuni pianeti è già così).