(Pubblichiamo questo bellissimo editoriale di Paolo Molaioni, dal sito di OL3, né indignati né rassegnati)
La
nostra società si sta trasformando sempre di più in una società “senza
padre”. La conseguenza di questa trasformazione sta provocando una buona
parte dei problemi che i giovani stanno attraversando, in piena crisi
economica, come risultato della progressiva ma costante delegittimazione
dell’istituzione della famiglia e del ruolo della figura paterna al suo
interno.
Gli stessi studenti che manifestano in piazza in modo violento, i
quali strumentalizzando una sacrosanta istanza, come quella di
protestare per i tagli alla scuola e all’istruzione, trovano l’occasione
per distruggere, in modo organizzato e sistematico, i simboli della
vita civile, delle istituzioni e del potere economico, ci stanno
rivolgendo indirettamente un grido di aiuto.
Sarebbe falso rispondere a questa richiesta di aiuto dando tutta la
colpa alla crisi economica. La verità è che ai nostri giovani abbiamo
tolto la speranza perché abbiamo demolito la figura del padre e il ruolo
centrale della paternità nel cammino della crescita. La crisi economica
dell’immediato dopoguerra infatti, non ha portato gli stessi frutti di
nichilismo e di disperazione, in una condizione di ignoranza e di
povertà molto maggiore di quella attuale.
Una “società senza padre” ha infatti, come effetto diretto sui figli,
la rimozione del ruolo paterno, ruolo che determina, in primo luogo,
l’instaurarsi di quelle condizioni che ci insegnano a sopportare le
sconfitte e continuare a sperare, anche quando le situazioni sembrano
avverse; ne conseguono l’incapacità di accettare ogni forma di norma o
vincolo, la mancanza di autostima, forme eccessive di aggressività o di
iperattività, l’incapacità di staccarsi dal vincolo genitoriale e
cominciare una vita autonoma.
E’ infatti il padre che, sostituendosi gradatamente al ruolo della
madre nello sviluppo del bambino, con il suo esempio, insegna al proprio
figlio ad affrontare con speranza le problematiche dell’esistenza,
sempre presenti in ogni contesto ed epoca storica, e a risolverle senza
assolutizzarle e senza cedere alla depressione e alla violenza, come
unico strumento di rottura dello schema costituito. E’ il padre che,
proponendo al proprio figlio un impianto normativo coerente e
accompagnandolo nella scoperta del mondo esterno, farà superare al
bambino il desiderio di onnipotenza, proponendogli il limite come
elemento necessario alla vita di relazione. E’ il padre, in fin dei
conti, che conduce il bambino verso il futuro.
Ecco perché bisogna gridare a tutte le agenzie educative e culturali,
a cominciare dalla scuola, dalla tv, dalla rete e dai social network,
la necessità di rivalutare la figura paterna, far capire alle famiglie e
alle coppie di fidanzati quanto sia importante che i neo-padri si
assumano responsabilmente il compito di educare i propri figli, per
renderli in grado di affrontare la vita con speranza e gratitudine,
qualunque condizione essa presenti, per essere in tutto e per tutto dei
padri che si assumono in pieno il loro compito educativo.
La mia vita parla di questo. Sono un ingegnere, sposato e padre di
tre figli. Nel 2010, quarant’anni appena compiuti, quando la crisi
economica cominciava a far sentire i suoi effetti più nefasti anche in
Italia, ho perso il lavoro.
Dopo i primi giorni di smarrimento non mi sono perso d’animo e mi
sono messo subito a cercare una nuova occupazione, contando su un buon
curriculum e sulle molte conoscenze acquisite in tredici anni di
carriera. Poco dopo ho avuto un’offerta di lavoro, allettante dal punto
di vista professionale e ben remunerata, che tuttavia richiedeva il
trasferimento in un’altra città con trasferte settimanali. Nella mia
vita ho sempre viaggiato e lavorato fuori casa, anche all’estero, ma non
avevo figli, la cosa a quel tempo non mi spaventava e anzi era sempre
stata una buona occasione per conoscere posti nuovi e persone nuove.
Questa volta però era diverso, perché avevo due figli piccoli, la più
grande di sette anni e il più piccolo di cinque, e sono stato posto di
fronte ad una scelta difficile : accettare il lavoro puntando sulla mia
carriera o credere nel futuro della mia famiglia e restarle vicino?
Ho scelto quest’ultima opzione, rinunciando a progressi lavorativi immediati. Ho deciso di investire nel futuro con la mia famiglia, e non nonostante la mia famiglia, di investire sull’importanza del ruolo di padre, dal quale dipende il futuro della nostra società.
Anche in conseguenza di questa scelta è nata la mia terza figlia, che oggi ha 16 mesi.
Mettiamocela tutta per far crescere nella nostra società la cultura e
la responsabilità della paternità, facciamo del nostro meglio per
essere dei padri OL3, che vanno avanti nonostante
tutto, portando sulle proprie spalle il peso della responsabilità
educativa che gli compete, nella certezza che questo è la strada giusta
per far crescere bene i nostri figli e sviluppare nella società gli
anticorpi alla depressione e alla perdita di senso.
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