(di Davide Rondoni)
I nostri ragazzi non fanno domande, perché? Una idea ce l’ho. Ma la
devo dire piano. Spesso si sente dire che i nostri ragazzi, nelle
Università ma non solo, non fanno domande. Non fanno domande a
lezione, spesso non usano dei momenti di colloquio coi docenti. O lo
usano per avere qualche informazione. E molto spesso mi sono sentito
dire prima di fare una conferenza o una lettura di poesie a dei giovani:
«Sai, poi non fanno mai domande». Previsione sempre peraltro smentita.
Ma questa faccenda dei giovani che avrebbero smesso di fare domande mi
incuriosisce. Se i giovani smettono di fare domande, e gli adulti
smettono di essere inquietati, messi in questione dalle loro domande,
una società si isterilisce e si spacca, si divide in generazioni che non
si passano cose, ma stanno tra loro come faglie che si urtano. L’ho
sentito ripetere da docenti di diversi atenei. Anche se naturalmente non
mancano eccezioni. L’ultima volta che una brava docente universitaria
me lo ha detto, le ho domandato: «Ma ti sei chiesta perché?». La sua
faccia un po’ perplessa e l’abbozzo di risposta («forse per timore
reverenziale...») mi ha confermato che no, non ci aveva pensato su
granché.
Perché un giovane non fa domande all’adulto che è lì –
o almeno dovrebbe essere così – per lui, per insegnargli qualcosa? Ci
sono molte cause ambientali, diciamo così. Sicuramente, il fatto che
l’università anche italiana abbia deciso di organizzarsi secondo lo
schema 'a crediti', ha spesso reso la vita e il tempo degli studenti
secondo un ritmo 'fai e incassa' rispetto al quale ogni surplus di
interesse sembra, appunto, in più. Da questo, e da una certa riduzione
impersonale, o più esattamente, funzionale del rapporto con il docente,
visto come una specie di erogatore di servizi/crediti, il valore del
fare domande viene frustrato o non incoraggiato. Ma la mia idea è che –
al di là dei condizionamenti ambientali – ci sia sotto una questione
enorme.
Il fatto è che le persone smettono di fare domande
quando non si sentono (più) a rischio. Intendo dire che il genere di
domanda e di curiosità dipende dal tipo di rischio che vivi. Se l’unico
rischio che pensi di correre è quello di perdere la pensione o il
lavoro, o fosse pure il rischio di perdere qualche buona occasione,
rivolgerai domande di quel genere. Ovvero, nel caso del rapporto
docente/ragazzo nasceranno tutt’al più domande limitatamente al servizio
che il docente sta facendo, e se si possono evitare tanto meno disturbo
per tutti. Al massimo si chiede di erogare bene quel servizio.
Nessuna
curiosità in più o domanda di altro approfondimento, di apertura. Se
invece avverti che la vita è un rischio totale che riguarda il perdere
te stesso (l’anima, si dice) allora ogni occasione di confronto con
qualcuno di autorevole, fosse pure in un settore particolare della vita,
diviene occasione di curiosità e di scoperta. Se stai rischiando te
stesso vivendo, ogni occasione è buona per imparare a farcela. Come
Dante che nella selva oscura grida la sua domanda verso Virgilio,
chiamato «lo mio autore». Ma se non mi sento nella selva, cosa me ne
faccio di un «autore»? Di uno autorevole?
L’altra faccia della
medaglia, infatti, riguarda la autentica autorevolezza. Non basta avere
la targhetta 'prof' per essere avvertito autorevole da un giovane.
Occorre, come Virgilio per Dante, essere percepito come uno che ha
vissuto lo stesso rischio e che lo rivive. A nessuno che stia correndo
un rischio vero (e un giovane, per quanto confusamente vive l’età del
rischio) viene voglia di chiedere qualcosa a chi tale rischio sembra che
non sappia cosa sia. Se non ti giochi l’anima di fronte ai ragazzi che
hai di fronte, come pretendi che ti facciano vere domande? Al massimo
chiedono qualche servizio in più. Aver diminuito spaventosamente il
senso del rischio che si corre vivendo, averlo ridotto a un mero rischio
di carriera o di successo, ha diminuito la dose di domanda. Allo stesso
modo vale per la lettura: se non mi sento a rischio perché cercare
autori? La lettura non cala solo perché i libri costano o per colpa di
internet. Aver cacciato gli uomini dal grande rischio dell’anima li ha
resi meno interessati a tutto.