martedì 27 novembre 2012

Dal lavoro femminile al lavoro familiare

 
Recentemente ho letto su benecomune.net (che trovo sempre arguto) un articolo sul lavoro femminile e sulla difficoltà del conciliare lavoro e famiglia. Le conclusioni dell'autore (Fabio Macioce) sono, a mio parere, molto interessanti: non si può pensare che conciliare famiglia e lavoro sia solo un problema femminile (anche se ci sono delle fasi in cui è innegabile che il ruolo materno sia più coinvolto), si dovrebbe perciò parlare di lavoro familiare. La frase chiave dell'articolo è: "[...]la domanda allora è: se questi orari e modelli di vita e lavoro sono incompatibili con la famiglia, e con un armonico sviluppo della sfera degli affetti, perché gli uomini li dovrebbero fare? Perché, in altri termini, si dà per scontato che l'uomo, al contrario della donna, possa rinunciare senza sacrificio al tempo con i figli, al tempo con la propria compagna, alla vita privata?"

Per me questa è sempre una questione aperta. Da impiegato nel settore privato sono tenuto a lavorare 40 ore a settimana e sono veramente tante. Considerando che una giornata di lavoro è di 8 ore e c'è un'ora di pausa pranzo, io trascorro 9 ore fuori casa più un'ora per andare e tornare (e sono un privilegiato, perché a Roma metterci 30 minuti per andare al lavoro è molto poco). E' vero, come contraltare ho molti permessi che mi permettono di guadagnare in flessibilità, ma ad oggi il guadagno è minimo, si potrebbe fare molto di più. Chiariamoci, io amo il mio lavoro e lo ritengo parte essenziale della mia vita, guai a considerarlo in sé e per sé un ostacolo alla famiglia, ma va trovato il giusto equilibrio, che sia ben chiaro che si lavora per vivere e non viceversa.

Il problema si allarga se si analizza la cultura di lavoro che si sta diffondendo, almeno nel settore privato. Sempre più settori della mia azienda (ma ho motivo di pensare che non sia un'eccezione) puntano su persone disposte a trasferte, uso esteso di straordinari, lavoro 6 giorni su 7. Ricordo che un manager della mia azienda, mentre ero ancora in formazione, disse: "a voi viene chiesto di restare fino alle 18:00, poi quando sarete assunti anche dopo le 18:00". Ovviamente, se viene premiato essenzialmente chi lavora di più, logica vuole che saranno promossi dirigenti quei lavoratori che sposano di più questa linea, ovvero siano sempre più pronti a mettere al primo posto il lavoro rispetto alla famiglia. Se le persone che organizzano il lavoro non capiscono le esigenze di chi ha una famiglia (perchè non ce l'hanno, l'hanno sfasciata a forza di non esserci o hanno delle mogli eroine) è un problema per tutti quelli che stanno sotto di loro. La crisi non fa che peggiorare le cose, perché in qualche modo l'emergenza giustifica qualsiasi cosa. Sento infatti circolare discorsi che non mi piacciono per niente, tipo "dobbiamo abituarci a lavorare di più", "la crisi è frutto di privilegi che non possiamo più sostenere", "in America si lavora di più" o cose simili...
Auspico che a crisi finita si apra una stagione di ripensamento dei tempi del lavoro, che si cominci a discutere seriamente di telelavoro, tetto di 36 ore per tutti i contratti, estensione della flessibilità di orario, incentivi ai nidi aziendali, congedo parentale, legare parte dello stipendio a risultati concordati e non alle ore lavorate e cose simili.

Mi sembra che questo sia uno dei temi chiave del nostro tempo e, per questo, invito chiunque passi di qui, se lo ritiene opportuno, a postare proprie esperienze, siti ed articoli rilevanti, opinioni.

Buon lavoro a tutti!


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